Note per il futuro dell’opera impossibile in due parti – Parte II

by / 10 Giugno 2022

Appunti per un futuro manifesto del non-concettualismo: filosofia, massime possibilità, inconcepibilità e fine dell’arte

Se l’arte è oggi (e lo è da almeno 100 anni) massimamente possibile – per cui qualsiasi cosa, e addirittura nulla, può essere considerato arte – allora ogni trasgressione, ogni nuova arte e quindi ogni violazione sostanziale deve risiedere nell’impossibile, in un’arte massimamente impossibile, in un’arte che sfida ogni concettualizzazione.

L’arte concettuale (anch’essa un tempo anti-arte) è diventata arte – è arte. Ora è necessario creare una nuova anti-arte e che questa anti-arte diventi essa stessa arte: il Non-Concettualismo. Dobbiamo passare da l’idea è tutto a l’idea è impossibile.

Se Warhol (seguendo Duchamp) è stato in grado di trasformare l’arte in filosofia (come sostiene Danto), che aspetto avrebbe la filosofia trasformata in arte? Un’arte pessoana, forse: un’arte dell’impossibilità, che si estende oltre i nostri sogni.

L’opera del non-concettualismo (in quanto arte apofatica) sarà sempre e solo l’impotenza dello spettatore nel concettualizzarla, e questo fallimento diventa quindi la sua unica vera istanza. L’arte, allora, diventa solo ciò che non può essere pensato. E ancora una volta sarà ovunque e sarà astratta, solo che non sarà altro che la sua stessa impossibilità, e quindi la sua stessa ineffabilità. Se mai dovessimo concepire un’opera sufficiente nella sua inconcepibilità da qualificarsi come tale nuova forma d’arte, essa verrebbe automaticamente squalificata come istanza di non-concettualismo attraverso l’atto stesso della sua comprensione.

Questa nuova arte è una forma di vita inaccessibile. È aliena. È intellettualmente ed emotivamente aberrante.

L’arte è resa elusiva e trascendente (di nuovo?). Tuttavia, solo la completezza di questi elementi può essere messa al servizio di un’estetica possibile (e quindi impossibile).

Non riconoscerai la nuova arte, se mai arriverà, al di là della tua ignoranza di essa. Tuttavia, al posto della nuova arte, l’arte che è umanamente impossibile concettualizzare, c’è questo documento e la transizione perpetua. In effetti, non cambierà nulla, perché continueremo con l’idea della non-idea. Tuttavia, inizierai a vedere (più chiaramente, o per la prima volta) tutta l’altra arte come parti differenziate dello stesso cadavere, come le pulsioni di morte del nostro orribile riflesso; oppure, come diventerà più comune, la vedrai per quello che è: le convulsioni gestazionali di un mostro troppo squisito.

Se l’arte è diventata di per sé incompleta, cullata in qualche approssimazione di pienezza dalle nostre prospettive su di essa, allora questa nuova arte sarà invece completa in sé e per sé – e piuttosto ridotta a nulla dalla nostra essenziale ignoranza. La lacuna non è più nell’opera, né nello spettatore, ma è invece nello spazio tra loro: un abisso incolmabile, penombrale, che nessuno dei due può attraversare. Non si tratta tanto di un’arte asservita alla ragione, determinata e vera ma forse anche inaccessibile, quanto di una ragione applicata all’arte (alla narrazione dell’arte) e alla sua accertata indeterminatezza come mezzo per liberare l’arte da se stessa. Non stiamo stabilendo la determinatezza dell’arte, quanto piuttosto la determinatezza dell’impossibilità dell’arte, in cui l’arte nella sua nuova forma deve risiedere.

Se il successo di un’opera d’arte si è sempre basato sul fatto che essa lasciasse dietro di sé un residuo non concettualizzabile, come sosteneva Schopenhauer, posizione poi adottata da Lyotard e da Deleuze, allora una nuova arte realizzerà semplicemente se stessa e farà a meno della sua materialità, che dopo tutto potrebbe essere qualsiasi cosa, perché un condotto all’intrattabilità non è arte. È l’intrattabilità stessa a essere arte. L’arte non può più essere una fusione dell’elemento residuale e di ciò di cui è un residuo, ma deve invece essere solo il residuo, il perversamente impenetrabile, il confusamente inspiegabile. I nostri concetti mancano il bersaglio perché devono mancare il bersaglio. Tutta l’articolazione dell’inintelligibilità essenziale dell’arte è e deve essere solo l’intelligenza cieca e ansimante della nostra ignoranza. Dopotutto, dove risiede questa novità se non nell’abbandono della prevaricazione del fallimento come pratica, per essere sostituita dalla risoluta inarticolazione come suo marchio.

Nella nuova arte non c’è alcun privilegio assegnato all’esperienza: essa è al tempo stesso non concettuale e non esperienziale. È ciò che non si sperimenta e non si pensa. Si conosce solo la sua impossibilità per noi.

La materialità dell’arte è tutt’altro che ineluttabile: è uno scarto ingombrante, è un cadavere, è putrefazione. L’unico oggetto dell’arte è la sua dissimilitudine oggettiva, il suo collasso negli oggetti in generale e la sua trascendenza dagli oggetti stessi.

È tale indisponibilità per noi che la rende arte, privilegiandoci attraverso la nostra stessa esclusione da essa. L’arte è semplicemente questo collasso epistemico ed esperienziale della funzione.

L’indeterminazione dell’arte è stata una maschera per la determinatezza della sua impossibilità.

Un misticismo non sentito, un’affezione disaffezionata, una mancanza sbadigliante di tutto ciò che c’è e non c’è – l’esperienza estetica diventa solo le condizioni del suo stesso fallimento. Un’imposizione di silenzio esperienziale, un collasso di pensiero di ciò che l’arte è stata, un rifiuto ragionato dell’oggetto artistico come qualcosa a cui si può accedere al di fuori del nostro riconoscimento razionalmente ponderato di come si arriva alla sua miriade di impossibilità.

Ciò nel senso che la possibilità di questa nuova arte è la sua impossibilità ultima, può essere considerata un’euristica. Tuttavia, per quanto riguarda l’euristica come soluzione, il non concettualismo cerca di risolvere solo eliminando la necessità di una soluzione: diventa la soluzione per porre fine alla necessità di soluzioni.

CODA

Un’opera di transizione

In generale, quest’opera video è un esempio di transizione perché mina se stessa, perché il suo isolamento come elemento discreto distrugge la sua precedente integrità (come spavento, come immersione, come occultamento, come fuga). Concettualizziamo oltre questo fallimento – ed esso sparisce. Ma la sua stessa costruzione, così come è disponibile per noi, significa che è già sparito. Il jump scare potrebbe essere pensato come se esistesse nei suoi stessi termini, senza la costruzione di una narrazione, così che ciò che era per noi è andato perduto e ciò che è per se stesso sfugge in un modo in cui i nostri tentativi di comprenderlo, al di là della sua integrale imperscrutabilità, non fanno che allontanarlo ulteriormente, non fanno che distorcere e offuscare la sua alterità di fondo.

È l’ultima opera d’arte? Forse, ma ce ne saranno altre. Quest’opera (e tutte quelle che ne fanno parte) deve essere considerata come permanentemente provvisoria. Questo tipo di opere assomiglieranno molto all’arte concettuale che cercano di sostituire, e perdureranno in tale condizione perché la transizione dall’arte concettuale all’arte non concettuale non sarà mai completa: è asintotica. Tuttavia, in quanto oggetti prossimali del non-concettualismo, le opere di transizione dovrebbero comunque guidarvi ai margini della non-concettualità e, così facendo, cercheranno di annullare ciò che sono. Saranno impregnate dell’orrore di una trappola. Falliranno in maniera eloquente. …

30 Minute Jump Scare (from Inland Empire)

Un campione:

Il testo è apparso in originale su Fanzine

Gary J. Shipley è uno scrittore e filosofo inglese. Oltre a testi brevi e poesia, ha pubblicato numerosi romanzi, caratterizzati da una profonda sperimentazione stilistica e letteraria. Fra questi: Stratagem of the Corpse: Dying with Baudrillard, a Study of Sickness and Simulacra; Terminal Park; 30 Fake Beheadings.

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