La tecnologia dell’incanto e l’incanto della tecnologia – Parte 2

by / 19 Aprile 2024

Qui per la Parte 1.
Originale in The Art of Anthropology, A. Gell, E. Hirsch ed., Routledge, London, 1999

Alfred Gell (1945-1997) è stato un pensatore particolare, che ha contribuito allo sviluppo della svolta ontologica in antropologia. L’antropologia dell’arte di Gell rifiuta fin dall’inizio di essere una teoria estetica, cercando piuttosto di incarnare diverse prospettive non strettamente occidentali, come l’animismo, per riconsiderare la nozione di oggetto (artistico). In tale contesto, in particolare in Art and Agency, la sua opera principale, Gell si trova ad elaborare una teoria che inizia a non essere solo antropologica, ma un ibrido grottesco di antropologia, filosofia e cibernetica, in cui l’oggetto artistico e i suoi affetti esistono in una complessa serie di strutture energetiche che si distribuiscono nello spazio e nel tempo. Il saggio, qui tradotto, anticipa le premesse concettuali di Art and Agency, concentrandosi sulla comprensione degli oggetti d’arte tra i due poli della Tecnologia e della Magia. Per Gell, la seconda è il grado zero della prima: un’idea perfetta da cui derivano pulsazioni parziali.

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5. Il trasferimento dello schema fondamentale tra produzione artistica e processo sociale

Concentriamo la nostra attenzione sulla produzione artistica nelle società prive di tradizioni e istituzioni di “belle arti” del tipo di quelle che hanno nutrito Picasso e Duchamp.

In queste società l’arte nasce soprattutto in due ambiti. Il primo è il rituale, soprattutto quello politico. Gli oggetti d’arte vengono prodotti per essere esibiti in quelle occasioni in cui il potere politico viene legittimato dall’associazione con varie forze soprannaturali. In secondo luogo, gli oggetti d’arte sono prodotti nel contesto di scambi cerimoniali o commerciali. L’arte è profusa in oggetti destinati a essere scambiati nelle sfere di scambio più prestigiose o a realizzare prezzi elevati sul mercato. Il tipo di sofisticazione tecnica coinvolta non è la tecnologia dell’illusionismo, ma la tecnologia della trasformazione radicale dei materiali, nel senso che il valore delle opere d’arte è condizionato dal fatto che è difficile passare dai materiali di cui sono composte al prodotto finito. Se prendiamo ancora una volta l’esempio della canoa Trobriand, è chiaro che è molto difficile acquisire l’arte di trasformare la radice di un albero da legno ferro, utilizzando gli strumenti piuttosto limitati che i Trobrianders hanno a loro disposizione, in un prodotto finito così liscio e raffinato. Se queste tavole potessero essere semplicemente prodotte in materiale plastico, non possiederebbero la stessa potenza anche se forse risulterebbero identiche a quelle originali. Ma è anche chiaro che nella definizione di virtuosismo tecnico devono essere incluse considerazioni che si potrebbe considerare come appartenenti all’estetica.

Consideriamo la posizione di un intagliatore delle Trobriand, incaricato di aggiungere un’altra canoa al corpus già esistente. L’intagliatore non ha solo il problema di modellare fisicamente materiale piuttosto recalcitrante con strumenti inadeguati: il problema è anche quello di visualizzare il disegno che segue mentalmente nell’intaglio, un disegno che deve riflettere i criteri estetici appropriati a questo genere artistico. Deve esercitare una facoltà di giudizio estetico, si potrebbe supporre, ma questo non è in realtà come appare all’artista nelle Trobriand che scolpisce in un contesto culturale in cui l’originalità non è apprezzata per se stessa, e che si aspetta dal suo pubblico, e da lui stesso, di seguire un template ideale per la canoa, il più magicamente efficace, quello appartenente alla sua scuola di intaglio e ai suoi incantesimi e riti magici associati. L’intagliatore delle Trobriand non si impegna a creare un nuovo tipo di canoa, ma un nuovo segno di un tipo già esistente; quindi non sta cercando di essere originale, ma, d’altra parte, non si avvicina al compito di intagliare come semplicemente una sfida alla sua abilità con i materiali, vedendola, invece, principalmente come una sfida ai suoi poteri mentali. Forse l’analogia migliore sarebbe con un musicista della nostra cultura che si prepara tecnicamente a dare una performance perfetta di una composizione già esistente, come la Sonata Moonlight.

Gli intagliatori si sottopongono a procedure magiche che aprono i canali delle loro menti in modo che le forme da inscrivere sulla canoa fluiscano liberamente sia dentro che fuori. Campbell, in uno studio inedito sull’intaglio delle Trobriand (Vakuta. 1984), registra che il rito finale dell’inizio dell’intaglio è l’ingestione del sangue di un serpente famoso per il suo viscidume. Durante l’iniziazione l’enfasi è posta sulla garanzia del libero flusso (di conoscenza magica, forme, linee e così via) per mezzo dell’uso metaforico di acqua e altri liquidi, soprattutto sangue e succo di betel incantato. È vero che lo stile di intaglio curvilineo melanesiano è dominato da un’estetica di linee sinuose, ben rappresentata nella tavola della canoa stessa; ma ciò che per noi è un principio estetico, uno che apprezziamo nel lavoro finito, è dal punto di vista dell’intagliatore una serie di difficoltà tecniche (o blocchi del flusso) che deve superare per scolpire bene. In effetti, uno dei riti iniziatici dell’intagliatore rappresenta proprio questo: il maestro intagliatore fa una piccola diga, dietro la quale rimane intrappolata l’acqua di mare. Dopo alcune cose pratiche magiche da mettere in atto, la diga viene rotta e l’acqua è restituita al mare. Dopo questo, la mente dell’iniziato diventerà rapida e chiara, e le idee di intaglio fluiranno senza ostacoli nella sua testa, giù per le braccia, attraverso le dita e nel legno.

Vediamo qui che la capacità di interiorizzare lo stile di intaglio, di pensare alle forme appropriate, è considerata una questione di acquisizione di una sorta di struttura tecnica, inseparabile dal tipo di struttura tecnica che deve essere padroneggiata affinché queste forme immaginate siano realizzate in legno. La magia dell’intaglio delle Trobriand è la magia della struttura tecnica. L’aspetto fantasioso dell’arte e l’aspetto relativo al maneggiare lo strumento sono la stessa cosa. Ma c’è un punto più importante da sottolineare qui circa il significato magico dell’arte e sulla stretta relazione tra questo significato magico e le sue caratteristiche tecniche.

Ci si ricorderà che queste tavole sono posizionate su canoe Kula, il loro scopo è quello di indurre i partner Kula dei Trobriandesi a sbocconcellare i loro migliori oggetti di valore, senza trattenersi, nel modo più rapido. Inoltre, questi e gli altri componenti scolpiti della canoa Kula (la tavola di prua e la wash-board lungo il lato) hanno lo scopo aggiuntivo di far viaggiare rapidamente la canoa attraverso l’acqua, per quanto possibile come la canoa volante originale della mitologia di Kula.

Campbell, nella sua analisi iconografica dei motivi trovati sui componenti scolpiti delle canoe, è in grado di dimostrare in modo convincente che scivolosità, movimento rapido e una qualità glossata come “saggezza” sono le caratteristiche degli animali reali e immaginari rappresentati, spesso da una singola caratteristica, nell’arte della canoa. Un animale “saggio”, per esempio, è il falco pescatore, un motivo onnipresente: questo falco è saggio perché sa quando colpire per i pesci, e li cattura con una precisione perfetta. È l’efficienza fluida e precisa della tecnica di pesca del falco che lo qualifica come saggio, non il fatto che sia ben informato. La stessa qualità di eleganza ed efficacia la si desidera per la spedizione Kula. Altri animali, come le farfalle e i pipistrelli a ferro di cavallo, evocano movimenti rapidi, leggerezza e idee simili. Sono rappresentate anche le onde, l’acqua, e così va.

Il successo del Kula, come il successo dell’intaglio, dipende dal flusso senza ostacoli. Una complessa serie di omologie, di quelle che Bourdieu (1977) ha chiamato “trasferimenti di schemi”, esiste tra il processo di superamento degli ostacoli tecnici che ostacolano il raggiungimento di una perfetta “performance” d’intaglio della canoa e il superamento dei problemi tecnici, tanto psichici quanto fisici, che ostacolano il raggiungimento di una spedizione Kula di successo. Proprio come le idee di intaglio devono essere fatte fluire senza intoppi nella mente dell’intagliatore e fuori attraverso le sue dita, così gli oggetti di valore Kula devono essere fatti fluire senza intoppi attraverso i canali di scambio, senza incontrare ostacoli. E l’immaginario metaforico dell’acqua che scorre, dei serpenti viscidi e delle farfalle svolazzanti si applica in entrambi i domini, come abbiamo visto.

Abbiamo notato in precedenza che sarebbe stato sbagliato interpretare la canoa etologicamente come un disegno mimetico o, dal punto di vista della psicologia della percezione visiva, come una figura visivamente instabile, non perché non sia nessuna di queste cose (è entrambe), ma perché farlo significherebbe perdere di vista la sua caratteristica più essenziale, ovvero che è un oggetto prodotto in maniera peculiare. Non sono le macchie oculari o le instabilità visive che affascinano, ma il fatto che è nel potere dell’artista fare cose che producono questi effetti sorprendenti. Ora possiamo vedere che l’attività tecnica che entra nella produzione di una canoa non è solo la fonte del suo prestigio come oggetto, ma anche la fonte della sua efficacia nel campo delle relazioni sociali; c’è un trasferimento di schema fondamentale, applicabile, suggerisco, in tutti i settori della produzione artistica, tra i processi tecnici coinvolti nella creazione di un’opera d’arte e la produzione di relazioni sociali attraverso l’arte. In altre parole, esiste un’omologia tra il processo tecnico nel contesto dell’arte e i processi tecnici in generale, ciascuno visto alla luce dell’altro, poiché, in questo caso, il processo tecnico di creazione di una canoa è omologo ai processi tecnici coinvolti nel successo delle operazioni di Kula. Siamo inclini a negarlo solo perché siamo inclini a minimizzare il significato del dominio tecnico nella nostra cultura, nonostante siamo completamente dipendenti dalla tecnologia in ogni dipartimento della vita. La tecnica dovrebbe essere noia e meccanica, in realtà opposta alla vera creatività e ai valori autentici del tipo che l’arte dovrebbe rappresentare. Ma questa visione distorta è un sottoprodotto dello status quasi religioso dell’arte nella nostra cultura, e il fatto che il culto dell’arte, come tutti gli altri culti, è sottoposto al requisito rigoroso di nascondere le sue vere origini.

6. L’incanto della tecnologia: magia ed efficienza tecnica

Indicare soltanto l’omologia tra l’aspetto tecnico della produzione artistica e la produzione di relazioni sociali è insufficiente di per sé, a meno di non arrivare a una migliore comprensione della relazione tra arte e magia, che nel caso dell’arte della canoa Trobriand è esplicita e fondamentale. È sulla natura del pensiero magico, e la sua relazione con l’attività tecnica, tra cui quella coinvolta nella produzione di opere d’arte, che voglio concentrarmi nell’ultima parte di questo saggio.

La produzione artistica e la produzione di relazioni sociali sono collegate da un’omologia fondamentale: ma cosa sono le relazioni sociali? Sono le relazioni generate dai processi tecnici di cui si può dire che la società in generale consista, cioè, in generale, i processi tecnici della produzione di beni di sussistenza e di altro tipo, e la produzione (riproduzione) di esseri umani addomesticandoli e allevandoli. Pertanto, nell’identificare un’omologia tra i processi tecnici della produzione artistica e la produzione di relazioni sociali, non sto cercando di dire che la tecnologia dell’arte è omologa a un dominio che non è, di per sé, tecnologico, perché le relazioni sociali sono esse stesse caratteristiche emergenti della base tecnica su cui si basa la società. Ma sarebbe fuorviante suggerire che, poiché le società riposano su una base tecnica, la tecnologia è un affare chiaro e definito che tutti gli interessati comprendono perfettamente.

Prendiamo il tipo relativamente non controverso di attività tecnica coinvolta nel giardinaggio, non controverso in quanto tutti ammetterebbero che questa è un’attività tecnica, un’ammissione che potrebbero non fare se parlassimo dei processi coinvolti nella creazione di un matrimonio. Tre cose spiccano quando si considera l’attività tecnica del giardinaggio: in primo luogo, che coinvolge conoscenza e abilità, in secondo luogo, che coinvolge il lavoro, e in terzo luogo, che è accompagnata da un risultato incerto, e inoltre dipende da processi di natura malintesi. La saggezza convenzionale suggerirebbe che ciò che fa considerare il giardinaggio come attività tecnica è l’aspetto che richiede conoscenza, abilità e lavoro, e che l’aspetto del giardinaggio che lo fa mescolare con riti magici, nelle società pre-scientifiche, è il terzo, cioè il suo risultato incerto e la sua base scientifica incompresa.

Ma non credo che le cose siano così semplici. L’idea della magia come accompagnamento all’incertezza non significa che sia opposta alla conoscenza, cioè che dove c’è conoscenza non c’è incertezza, e quindi nessuna magia. Al contrario, ciò che è incerto non è il mondo ma la conoscenza che abbiamo su di esso. In un modo o nell’altro, il giardino si rivelerà come risulta; il nostro problema è che non sappiamo ancora come sarà. Tutto ciò che abbiamo sono alcune credenze più o meno coperte su uno spettro di possibili risultati, il più desiderabile dei quali cercheremo di realizzare seguendo procedure in cui abbiamo un certo grado di convinzione, ma che potrebbero ugualmente essere sbagliate o inappropriate nelle circostanze. Il problema dell’incertezza non è quindi contrario alla nozione di conoscenza e alla ricerca di soluzioni tecniche razionali ai problemi tecnici, ma ne è intrinsecamente parte. Se consideriamo che l’atteggiamento magico è un sottoprodotto dell’incertezza, siamo quindi impegnati anche nell’enunciato per cui l’atteggiamento magico è un sottoprodotto del perseguimento razionale di obiettivi tecnici utilizzando mezzi tecnici.

7. Magia come Ideale della Tecnologia

La relazione tra processi tecnici e magia non si manifesta solo perché il risultato degli sforzi tecnici è dubbio e deriva dall’azione di forze di cui siamo parzialmente o del tutto ignoranti. Il lavoro stesso, il semplice sforzo, è un atteggiamento magico, perché esso è il costo soggettivo sostenuto da noi nel processo di mettere in pratica le tecniche. Se torniamo alle idee di Simmel per cui il “valore” è una funzione della resistenza che deve essere superata per ottenere l’accesso a un oggetto, allora possiamo vedere che questa “resistenza” o difficoltà di accesso può assumere due forme: (i) l’oggetto in questione può essere difficile da ottenere, perché ha un prezzo elevato sul mercato o perché appartiene a una sfera di scambio esaltata; oppure (ii) l’oggetto può essere difficile da ottenere perché è difficile da produrre, richiedendo un processo tecnico complesso e rischioso, e/o una procedura tecnica che ha alti costi di opportunità soggettivi, cioè il produttore è obbligato a spendere molto tempo ed energia per produrre quel particolare prodotto, a scapito di altre cose che potrebbe produrre o dell’impiego del suo tempo e delle sue risorse in attività di svago soggettivamente più piacevoli. La nozione di lavoro è lo standard che utilizziamo per misurare il costo-opportunità di attività come il giardinaggio, che vengono intraprese non per se stesse, ma per assicurarsi qualcos’altro, come un eventuale raccolto. In un certo senso, il giardinaggio per un trobriandese non ha un costo-opportunità, perché non c’è molto altro che un trobriandese potrebbe fare. Ma il giardinaggio è comunque soggettivamente gravoso e il raccolto è ancora prezioso perché difficile da ottenere.

Il giardinaggio ha un costo opportunità nel senso che potrebbe essere meno laborioso e più sicuro nel suo risultato di quanto non sia in realtà. Lo standard per calcolare il valore di un raccolto è il costo opportunità di ottenere il raccolto risultante, non con i mezzi tecnici, che richiedono lavoro, che vengono effettivamente impiegati, ma senza sforzo, per magia. Tutte le attività produttive sono misurate rispetto allo standard magico, la possibilità che lo stesso prodotto possa essere realizzato senza sforzo, e l’efficacia relativa delle tecniche è funzione della misura in cui convergono verso lo standard magico di zero lavoro per lo stesso prodotto, proprio come il valore per noi degli oggetti sul mercato è funzione della relazione tra l’opportunità di ottenere quegli oggetti a costo-opportunità zero (rinunciando ad acquisti alternativi) e i costi-opportunità che effettivamente sosterremo acquistando al prezzo di mercato.

Se c’è del vero in questa idea, allora possiamo vedere che la nozione di magia, come mezzo per assicurare un prodotto senza il costo del lavoro che effettivamente comporta, utilizzando i mezzi tecnici prevalenti, è in realtà incorporata nella valutazione standard che viene applicata all’efficacia delle tecniche e al calcolo del valore del prodotto. La magia è la base di partenza rispetto alla quale il concetto di lavoro come costo prende forma. Le canoe Kula reali (che devono essere navigate, pericolosamente, faticosamente e lentamente, tra le isole dell’anello Kula) sono valutate rispetto allo standard stabilito dalla mitica canoa volante, che raggiunge gli stessi risultati istantaneamente, senza sforzo e senza nessuno dei normali rischi.

Allo stesso modo, il giardinaggio delle Trobriand si svolge sullo sfondo delle litanie del mago del giardino, in cui tutti i normali ostacoli al successo del giardinaggio sono resi assenti dal potere magico delle parole. La magia si aggira come un’ombra sull’attività tecnica; o meglio, la magia è il contorno negativo del lavoro, proprio come, nella linguistica saussuriana, il valore di un concetto (ad esempio, “cane”) è funzione del contorno negativo dei concetti circostanti (gatto”, “lupo”, “padrone”).

Così come il denaro è il mezzo ideale di scambio, la magia è il mezzo ideale di produzione tecnica. E come i valori monetari pervadono il mondo delle merci, così che è impossibile pensare a un oggetto senza pensare contemporaneamente al suo prezzo di mercato, così la magia, in quanto tecnologia ideale, pervade il dominio tecnico delle società pre-scientifiche1.

Forse non è molto chiaro cosa c’entri tutto questo con il tema dell’arte primitiva. Quello che voglio suggerire è che la tecnologia magica è il rovescio della tecnologia produttiva e che questa tecnologia magica consiste nel rappresentare il dominio tecnico in forma incantata. Se torniamo all’idea, espressa in precedenza, che ciò che caratterizza veramente gli oggetti d’arte è il modo in cui essi tendono a trascendere gli schemi tecnici dello spettatore, il suo normale senso di autosufficienza, allora possiamo vedere che c’è una convergenza tra le caratteristiche degli oggetti prodotti attraverso la tecnologia incantata dell’arte e gli oggetti prodotti attraverso la tecnologia incantata della magia e che, di fatto, queste categorie tendono a coincidere. Spesso si considera che gli oggetti d’arte trascendano gli schemi tecnici dei loro creatori, così come quelli dei semplici spettatori, come quando si ritiene che l’oggetto d’arte non nasca dall’attività dell’individuo fisicamente responsabile, ma dall’ispirazione divina o dallo spirito ancestrale di cui è colmo. Possiamo vederne i segni nel fatto che gli artisti non sono pagati per lavorare” per noi, nel senso in cui paghiamo gli idraulici per farlo. Il compenso dell’artista non è un compenso per il suo sudore, così come le monete messe nel piatto delle offerte in chiesa sono un pagamento al vicario per le sue preghiere a favore delle nostre anime. Se gli artisti vengono pagati, cosa che avviene raramente, è come tributo al loro ascendente morale sul pubblico profano, e tali pagamenti provengono per lo più da enti pubblici o da individui che svolgono il ruolo pubblico di mecenati delle arti, non da singoli consumatori egoisticamente motivati. La posizione ambigua dell’artista, a metà tra tecnico e mistificatore, lo pone in una posizione di svantaggio in società come la nostra, dominate da valori di mercato impersonali. Ma questi svantaggi non si presentano in società come quelle trobriandesi, dove tutte le attività sono contemporaneamente procedure tecniche e legate alla magia, e c’è un’insensibile transizione tra l’attività mondana che è necessaria per le esigenze della produzione di sussistenza e le performance magico-religiose più spinte.

8. Il Giardino delle Trobriand come opera d’arte collettiva

La compenetrazione tra attività tecnico-produttiva, magia e arte è meravigliosamente documentata in I giardini di corallo e la loro magia (1935) di Malinowski. Malinowski descrive la straordinaria precisione con cui i giardini delle Trobriand, dopo essere stati ripuliti dalla boscaglia, e non solo dalla boscaglia, ma anche dal minimo filo d’erba, sono meticolosamente disposti in quadrati, con strutture speciali chiamate “prismi magici” ad ogni angolo, secondo uno schema simmetrico che non ha nulla a che fare con l’efficienza tecnica, ma tutto a che fare con il raggiungimento della trascendenza della produzione tecnica e la convergenza verso la produzione magica. Solo se il giardino ha l’aspetto giusto crescerà bene, e il giardino è, di fatto, un’enorme opera d’arte collettiva. In effetti, se pensassimo al giardino quadrangolare delle Trobriand come a una tela d’artista su cui le forme crescono misteriosamente, attraverso un processo occulto che sfugge in parte alla nostra intuizione, non sarebbe un’analogia sbagliata, perché è ciò che accade quando gli ignami proliferano e crescono, le loro viti e i loro viticci accuratamente formati su pali secondo principi che non sono meno “estetici” di quelli del topiarista nei giardini formali d’Europa2.

L’orto delle Trobriand è quindi sia il risultato di un certo sistema di conoscenze tecniche sia un’opera d’arte collettiva, che produce patate dolci per magia. La responsabilità di quest’opera d’arte collettiva è condivisa da tutti i giardinieri, ma al mago dell’orto e ai suoi collaboratori sono imposti compiti più gravosi. Normalmente non penseremmo al mago dell’orto come a un artista, ma dal punto di vista delle categorie operate dai trobriandesi, la sua posizione è esattamente la stessa, per quanto riguarda la produzione del raccolto, di quella dell’intagliatore per quanto riguarda la tavola della canoa, cioè è la persona magicamente responsabile, attraverso il suo sopi o essenza magica ereditata a livello ancestrale.

I mezzi del mago del giardino non sono fisici, come l’abilità dell’intagliatore con il legno e gli attrezzi, tranne per il fatto che è lui a disporre originariamente il giardino e a costruire (con una buona dose di sforzo, ci viene detto) i prismi magici agli angoli. La sua arte si esercita attraverso la parola. È maestro dell’arte poetica verbale, così come l’intagliatore è maestro nell’uso di forme metaforiche visive (falchi pescatori, farfalle, onde e così via). Sarebbe troppo lungo, e introdurrebbe troppe nuove difficoltà, trattare adeguatamente la relazione tripartita tra linguaggio (la più fondamentale di tutte le tecnologie), arte e magia. Tuttavia, credo sia necessario sottolineare il fatto elementare che gli incantesimi di Trobriand sono poesie, che utilizzano tutti i consueti dispositivi di prosodia e metafora, su giardini ideali e tecniche di giardinaggio idealmente efficaci.
Malinowski (1935: i. 169) riporta quanto segue (Formula 27):

I
Delfino qui ora, delfino qui mai! 
Delfino qui ora, delfino qui sempre!
Delfino del sud-est, delfino del nord-ovest.
Gioca a sud-est, gioca a nord-ovest, il delfino gioca! Il delfino gioca!

II
Il delfino gioca!
Vicino al mio kaysalu, del mio supporto ramificato, il delfino gioca.
Vicino al mio kaybudi, il mio bastone da allenamento che si spina, il delfino gioca.
Vicino al mio kamtya, il mio gambo salvato dal taglio, il delfino gioca.
Vicino alla mia tala, del mio bastone divisorio, il delfino gioca.
Vicino al mio yeye’i, il mio piccolo supporto sottile, il delfino gioca.
Vicino al mio tamkvaluma, il mio leggero palo igname, il delfino gioca.
Vicino al mio kavatam, il mio forte palo di igname, il delfino gioca.
Vicino al mio kayvaliluma, il mio grande palo di igname, il delfino gioca.
Vicino al mio tukulumwala, la mia linea di confine, il delfino gioca.
Vicino al mio karivisi, il mio triangolo di confine, il delfino gioca.
Vicino al mio kamkokola, il mio prisma magico, il delfino gioca.
Vicino al mio kaynutatala, i miei prismi non incantati, gioca il delfino.

III
La pancia del mio giardino lievita, 
La pancia del mio giardino sale, 
La pancia del mio giardino si reclina,
La pancia del mio giardino cresce fino alle dimensioni di un nido di gallina, 
La pancia del mio giardino cresce come un formicaio, 
La pancia del mio giardino si alza e si inchina, 
La pancia del mio giardino sale come la palma di legno ferro, 
La pancia del mio giardino si sdraia, 
La pancia del mio giardino si gonfia,
La pancia del mio giardino si gonfia come con un bambino.

e commenta (1935: ii. 310-11):

l’invocazione del delfino… trasforma, con un’ardita similitudine, il giardino delle Trobriand, con le sue fronde che ondeggiano e si agitano al vento, in un paesaggio marino… Bagido’u [il mago] mi spiegò… che come tra le onde il delfino va dentro e fuori, su e giù, così in tutto il giardino le ricche ghirlande al momento del raccolto si snoderanno sopra e sotto, dentro e fuori, dai supporti.


È chiaro che non solo questo inno al fogliame sovrabbondante è animato dai dispositivi poetici della metafora, dell’antitesi, delle parole arcane e così via, tutti meticolosamente analizzati da Malinowski, ma che è anche strettamente integrato con il catalogo dei bastoni e dei pali utilizzati nel giardino e con le costruzioni ritualmente importanti, i prismi magici e i triangoli di confine che vi si trovano. La tecnologia di incantamento del mago del giardino è il riflesso dell’incantamento della tecnologia. La tecnologia è incantata perché i mezzi tecnici ordinari impiegati nel giardino puntano inesorabilmente verso la magia, e anche verso l’arte, in quanto l’arte è la forma idealizzata della produzione. Così come quando, di fronte a un capolavoro, rimaniamo affascinati perché non riusciamo a spiegarci come tale oggetto possa esistere nel mondo, le litanie del mago del giardino esprimono il fascino dei trobriandesi per l’efficacia della loro tecnologia attuale che, convergendo verso l’ideale magico, adombra questo ideale nel mondo reale.

Bibliografia

  1. BERGER, PETER (1967). The Social Reality of Religion. Harmondsworth, Middx.: Penguin.
  2. BLOCH, MAURICE (1974). ‘Symbols, Song, Dance, and Features of Articulation: Is Religion an Extreme Form of Traditional Authority?’, Archives Européennes de Sociologie, 15/1: 55-81.
  3. BOURDIEU, PIERRE (1968). ‘Outline of a Sociological Theory of Art Perception’, International Social Science Journal, 20/4: 589-612.
  4. ____(1977). Outline of a Theory of Practice. Cambridge: Cambridge Univ. Press.
  5. CAMPBELL, SHIRLEY (1984). ‘The Art of the Kula’. Ph.D. thesis, Australian National Univ., Canberra.
  6. FORGE, ANTHONY (1966). ‘Art and Environment in the Sepik’, Proceedings of the Royal Anthropological Institute for 1965. London: Royal Anthropological Institute, 23-31.
  7. LEACH, JERRY W., and LEACH, EDMUND (1983). The Kula: New Perspectives on Massim Exchange. Cambridge: Cambridge Univ. Press.
  8. MALINOWSKI, BRONISLAW (1922). Argonauts of the Western Pacific: An Account of Native Enterprise and Adventure in the Archipelagoes of Melanesian New Guinea. London: Routledge.
  9. ____ (1935). Coral Gardens and their Magic: A Study of the Methods of Tilling the Soil and of Agricultural Rites in the Trobriand Islands. 2 vols. London: Allen & Unwin.
  10. MUNN, NANcY (1986). The Fame of Gawa: A Symbolic Study of Value Transformation in a Massim (Papua New Guinea) Society. Cambridge: Cambridge Univ. Press.
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  12. SIMMEL, GEORG (1979). The Philosophy of Money. Boston: Routledge & Kegan Paul.

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  1. Nelle società tecnologicamente avanzate in cui esistono diverse strategie tecniche, piuttosto che in quelle come le Trobridi in cui è conosciuto o praticabile un solo tipo di tecnologia, la situazione è diversa, perché le diverse strategie tecniche si contrappongono l’una all’altra, anziché opporsi allo standard magico. Ma i dilemmi tecnologici delle società moderne possono, in realtà, essere ricondotti al perseguimento di una chimera che è in realtà l’equivalente dello standard magico: la produzione ideale “senza costi”. In realtà non si tratta affatto di una produzione senza costi, ma della minimizzazione dei costi per l’impresa attraverso la massimizzazione dei costi sociali che non compaiono nel bilancio, con conseguente disoccupazione generata tecnicamente, esaurimento delle risorse non rinnovabili, degrado dell’ambiente, ecc.
  2. Nel Sepik, inoltre, la coltivazione dell’igname Jong è una forma d’arte, e non solo in senso metaforico, perché l’igname lungo può essere indotto a crescere in particolari direzioni da un’attenta manipolazione del terreno circostante: è in realtà una forma di scultura vegetale (cfr. Forge, 1966).
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