Inanna: alle radici materiali del mito

by / 14 Giugno 2023

Intorno al 2000 a.C la città di Sumer abbandona il proprio ordine sociale e sprofonda verso la propria “tragica e crudele” fine, in una misteriosa e pervasiva discesa verso il caos. In questo testo Samuel Noah Kramer ricostruisce la storia, la cultura e la letteratura sumera per contestualizzare i miti legati a Inanna, Regina del cielo e della terra. I canti di Inanna si presentano come vettore di un passaggio culturale fondamentale, rappresentando la transizione dai culti agresti a quelli pastorali. In virtù di ciò, Chaosmotics presenta un estratto di I canti di Inanna Regina del cielo e della terra. Miti e poesie della dea sumera come tappa di un percorso legato alle mitologie contemporanee. 

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Storia 

Sumer, il paese abitato dagli antichi Sumeri, è situato nella metà meridionale del moderno Iraq, nelle valli alluvionali del Tigri e dell’Eufrate, grosso modo tra l’attuale Bagdad e il Golfo Persico, dove si estende per un’area di circa 26.000 chilometri quadrati. Il suo clima è arido e secco, il suolo spazzato dai venti; non dispone di minerali, e ha pochissimo legname e pietrame: una terra priva di risorse, che si direbbe destinata alla povertà e alla desolazione. Ma i Sumeri erano gente molto dotata, energica, piena di iniziativa, tecnologicamente creativa e ideologicamente ricca di risorse, e con l’aiuto dell’irrigazione e di una visione relativamente pratica della vita e dei suoi misteri, trasformarono questa terra spoglia e nuda in un vero e proprio Giardino dell’Eden. 

Fu in Sumer che sorsero i primi grandi centri urbani, e fu in queste città che si sviluppò attraverso i secoli il sistema di scrittura cuneiforme, per poi diffondersi in tutto il Vicino Oriente antico. §

Il pensiero, la tecnica e i passi compiuti dai Sumeri nel campo della religione, dell’istruzione, della letteratura e delle leggi lasciarono tracce profonde nei loro vicini, e, in qualche misura, ne hanno lasciate anche nella moderna cultura occidentale. Sotto più di un aspetto, è possibile definire giustamente Sumer come la “culla della civiltà”. I Sumeri giunsero nel paese nella seconda metà del quarto millennio a.C.. L’ubicazione della loro patria d’origine non ci è nota, ma poiché il sumero è una lingua agglutinante simile a quella dei popoli di parlata turca, è probabile che si trovasse da qualche parte dell’Asia centromeridionale. Esistono anche prove che, nella loro migrazione verso la Mesopotamia meridionale, i Sumeri si siano per qualche tempo stabiliti nell’Iran occidentale. Indipendentemente dalla loro provenienza, e dal tipo di cultura che portavano con sé, è certo che il loro arrivo diede luogo a una straordinaria fusione etnica e culturale con la popolazione indigena, e che tale fusione contribuì a spingere creativamente in avanti la storia della civiltà. 

Nel corso dei secoli che seguirono, Sumer raggiunse sempre nuovi livelli di potere politico e di ricchezza economica, conquistando alcuni dei suoi più significativi traguardi nel campo delle arti e dei mestieri, dell’architettura monumentale, del pensiero etico e religioso, del mito orale, dell’epica e dell’inno. La lingua sumera divenne la parlata prevalente del paese; il sistema di scrittura cuneiforme si trasformò piano piano in un efficace strumento di comunicazione; vennero inoltre fatti i primi passi per l’introduzione di un sistema educativo formale. §

Il primo sovrano di Sumer di cui siano ricordate le gesta, sia pure in maniera assai laconica, è il Re di Kish, Etana, che regnò probabilmente agli inizi del terzo millennio a.C. 

Nel corso dei secoli il potere di Kish svanì, e passò nelle mani di Uruk, città sumera del centro. Alcuni sovrani della dinastia di Uruk, uomini come Enmerkar, Lugalbanda, Gilgamesh, e forse anche Dumuzi, compirono tali gesta di coraggio e di conquista da ispirare ai bardi sumeri componimenti epici caratteristici di quella che è comunemente nota come l’età eroica. Ma, malgrado tali gesta di coraggio e di eroismo, anche la dinastia di Uruk era destinata a una fine disastrosa, e venne liquidata da Mesannepadda, sovrano ambizioso e avido di potere di Ur, città del mezzogiorno di Sumer. §

La lotta per il dominio tra Kish, Uruk e Ur indebolì Sumer a tal punto, e a tal punto ne compromise la potenza militare, che per un notevole periodo di tempo il paese cadde sotto dominazione straniera. § Nei secoli che seguirono, Sumer subì due umilianti disfatte. La prima fu per mano di un sovrano semita di nome Sargon, il quale conquistò non solo Sumer, ma anche gran parte dell’Asia occidentale. 

Il nipote di Sargon, Naram-Sin, assalì, per un motivo rimasto sconosciuto, Nippur, la città sacra di Sumer, profanandone e saccheggiandone il principale santuario. Stando ai successivi mitografi sumeri, quest’atto sacrilego condusse alla seconda catastrofe di Sumer, che venne invaso e messo a sacco dai Guti, un popolo barbaro disceso dalle montagne dell’Iran occidentale. 

Verso la fine di questo disastroso, umiliante periodo della storia sumera, la città di Lagash tornò ancora una volta alla ribalta come forza politica, specialmente sotto la guida di uno straordinario, pio ensi di nome Gudea. È a causa di un considerevole numero di statue con iscrizioni di questo sovrano, originariamente collocate nei templi di Lagash e dissotterrate da ricercatori francesi, che quello di Gudea è divenuto il volto sumero più noto al mondo moderno. Fonte ed estensione del suo potere politico ci sono tuttora ignote, ma dalle sue iscrizioni è possibile arguire che egli ebbe contatti praticamente con tutto il mondo allora conosciuto. 

Non molto tempo dopo il regno di Gudea, Sumer si sottrasse al giogo dei Guti, e un re di nome Ur-Nammu fondò § la cosiddetta Terza Dinastia di Ur (2050-1950 a.C. circa), che gettò le basi di una grandiosa rinascita. Ur-Nammu fu non solo un capo militare abile ed energico, ma anche uno straordinario legislatore e riformatore sociale. 

A Ur-Nammu succedette il figlio Shulgi, dimostratosi uno dei re più illustri e insigni del passato. Eccellente capo militare, scrupoloso amministratore, costruttore energico e generoso mecenate, particolarmente per quanto concerne la letteratura e la musica, il suo vanto è di avere fondato importanti scuole sumere a Nippur e a Ur. Poeti e uomini di lettere sumeri si superarono nel comporre inni che lo esaltano e glorificano, e questi lo raffigurano come una combinazione di saggio, di soldato, di sportivo, di divinatore, di diplomatico, di patrono dell’istruzione; re felice e ottimista, che per il suo paese e il suo popolo volle sempre il meglio. 

Shulgi regnò per quasi mezzo secolo, e fu seguito sul trono dai suoi due figli, che governarono nove anni ciascuno, riuscendo a malapena a mantenere la nazione unita e indipendente. Salito al trono il nipote di Shulgi, il pio e fiducioso Ibbi-Sin, il sovrano si trovò a dover subire gli attacchi degli Elamiti e dei nomadi Amorrei provenienti da occidente, e il tradimento degli stessi suoi governatori e generali. Alla fine, nel venticinquesimo anno del suo regno, gli Elamiti assalirono e distrussero Ur, portandone via in catene il re. La catastrofe lasciò una traccia indelebile nei poeti di Sumer, che nel corso degli anni composero tutta una serie di elegie in cui si lamentava l’amara, crudele tragedia che aveva colpito il paese e il popolo. 

Nei secoli che seguirono la caduta di Ur, il paese assistette nuovamente a un’aspra lotta tricipite per l’egemonia, questa volta tra le città di Isin, Larsa e Babilonia. Alla fine, intorno al 1750 a.C., Hammurabi, Re di Babilonia, sconfisse Rin-Sin, Re di Larsa, ponendosi come unico sovrano di Sumer-Akkad. Questa data segna verosimilmente la fine dell’antico Sumer e gli inizi di Babilonia. Intorno a tale epoca il popolo sumero, vale a dire il popolo di lingua sumera, era praticamente estinto, e aveva pienamente ceduto il posto ai Semiti. I re erano ora tutti di origine semita, e la lingua corrente l’akkadico-semitico. Tuttavia, nelle forme e nei contenuti, la cultura nel suo complesso rimaneva in prevalenza sumera, e scuole e accademie del paese continuarono per tutto il millennio, come base del loro curriculum, a servirsi della lingua e della letteratura sumera. 

Cultura 

Nel terzo millennio a.C., Sumer consisteva grosso modo di una dozzina di città-stato, ciascuna comprendente una vasta città, di solito munita da una cerchia di mura, circondata da villaggi e da piccoli borghi. In base al credo religioso sumero, la città apparteneva alla divinità in carica, di modo che l’espressione tipica di ciascuna città era il suo principale santuario. Edificio molto vasto e molto elevato, il tempio si trovava situato su un alto terrapieno, elevantesi gradualmente in una massiccia torre-piattaforma, o ziggurat, il contributo più famoso di Sumer all’architettura religiosa. Il tempio consisteva di un santuario centrale rettangolare, o cella, circondato sui lati più lunghi da una quantità di stanze destinate ai sacerdoti e alle sacerdotesse. La cella presentava una nicchia per la statua della divinità, fronteggiata da un altare, o tavola d’offerta, fatto di mattoni. 

Il tempio era costruito in squallidi mattoni di fango, sicché gli architetti sumeri ne vivacizzavano i muri aggiungendovi a distanze regolari contrafforti e rientranze. Avevano inoltre introdotto la colonna e la mezza colonna di mattoni di fango, che decoravano di zigzag, losanghe e triangoli colorati inserendo nel fango ancora fresco coni di creta dipinta. A volte, i muri interni del santuario venivano affrescati con figure d’uomini e di animali, e con una certa varietà di motivi geometrici. 

§ La vita economica e sociale di Sumer era caratterizzata dai concetti, che tutto permeavano, della legge e della giustizia. Significative riforme economiche e legali vennero introdotte verso il XXIV secolo a.C. dal sovrano di Lagash Urukagina. Codici legali vennero promulgati verso il XXI secolo, e uno di questi, il codice di Ur-Nammu, è stato in parte recuperato. Documenti legali sumeri sono stati dissotterrati in gran numero: contratti, atti notarili, testamenti, pagherò, cambiali, quietanze, e concrete sentenze di tribunale poi divenute precedenti legali. 

Nella società sumera, la schiavitù era un’istituzione riconosciuta. Templi, palazzi e ricche proprietà possedevano schiavi e li sfruttavano a proprio beneficio. Molti schiavi erano prigionieri di guerra, ma § venivano anche reclutati in altri modi: liberi cittadini potevano essere ridotti in schiavitù a causa di certi crimini; i genitori potevano vendere i figli in tempo di bisogno; oppure, un uomo poteva cedere ai creditori l’intera sua famiglia a saldo di un debito, ma per non più di tre anni. 

Lo schiavo era proprietà del padrone. Poteva essere marchiato e flagellato, e se tentava di fuggire veniva severamente punito. Tuttavia, disponeva di certi diritti legali: poteva mettersi in affari, prendere denaro a prestito, e comprarsi la libertà. Se uno schiavo, uomo o donna che fosse, sposava una persona libera, i figli erano liberi. Il prezzo di uno schiavo variava a seconda del mercato e della qualità dell’individuo in vendita. Il prezzo medio di un uomo adulto era di dieci sicli, che a volte corrispondeva a meno del prezzo di un asino. 

L’unità basilare della società sumera era la famiglia. Il matrimonio veniva combinato dai genitori. Il fidanzamento era legalmente riconosciuto non appena lo sposo offriva un dono al padre della sposa, anche se spesso veniva reso vincolante da un contratto iscritto su tavoletta. Mentre il matrimonio veniva così ridotto a un compromesso pratico, i rapporti prematrimoniali surrettizi erano del tutto sconosciuti. La donna sumera godeva di alcuni importanti diritti legali: poteva possedere proprietà, mettersi in affari, e testimoniare. Ma il marito poteva divorziarne anche per cause di poco conto; e se la prima non gli aveva dato figli, poteva prendersi una seconda moglie. I figli erano sottoposti all’autorità assoluta dei genitori, che potevano diseredarli o addirittura venderli come schiavi. Ma di regola i bambini erano molto amati e coccolati; e, alla morte dei genitori, ereditavano tutta la proprietà. I figli adottivi non erano rari, e anche loro venivano trattati con cura e considerazione: rappresentavano una sorta di assicurazione per la vecchiaia. 

§ Nel campo delle arti, i Sumeri si distinguevano per la scultura, che nelle epoche più remote (2600 a.C. circa) era astratta e impressionistica. Le statue dei templi di quei giorni rivelano un’intensità spirituale ed emotiva profonda, ma scarsa abilità plastica. Gli scultori più recenti erano tecnicamente superiori, ma le loro immagini mancavano del vigore e dell’ispirazione originaria. 

§ Uno dei contributi artistici sumeri più originali fu il sigillo cilindrico, una piccola pietra di forma cilindrica recante inciso un disegno che si “manifestava” chiaramente dopo essere stato premuto su una tavoletta di argilla o sul coperchio di argilla di un contenitore. I più antichi sigilli cilindrici sono gemme accuratamente intagliate, che recano incise scene come il re sul campo di battaglia, il pastore che difende le sue bestie dalle belve, teorie di animali, o creature ibride e mostri. Molti dei sigilli più recenti raffiguravano immaginifiche scene mitologiche, sebbene sia spesso difficile penetrarne il significato. Alla fine, a guadagnarsi il predominio fu un disegno particolare: la scena della “presentazione”, in cui un fedele viene presentato a una divinità o a un re deificato. Il sigillo cilindrico divenne un “marchio di fabbrica” sumero, e come tale invase l’Anatolia, l’Egitto, Cipro e la Grecia. 

§ La fede e la pratica religiosa sumera si fondavano su una cosmologia e su una teologia elaborate da saggi e pensatori agli inizi del terzo millennio a.C., e poi divenute credo e dogma basilari dell’intero Vicino Oriente. I Sumeri credevano che mari e acque circondassero l’universo da ogni lato; ne deducevano pertanto l’esistenza di un mare primevo sin dall’inizio dei tempi, e identificavano in tale mare “la causa prima” e “il primo motore”. Da questo mare primevo sarebbe sorto l’universo, consistente in un cielo a volta sovraimposto a una terra piatta e a esso congiunta. In mezzo, a separare il cielo dalla terra, stava, in continuo movimento ed espansione, l’atmosfera. Da questa atmosfera aerea avevano avuto vita i corpi celesti: la luna, il sole, i pianeti e le stelle. Dopo la separazione del cielo dalla terra e la creazione dei corpi astrali, era sorta la vita umana e animale. 

Tale universo, secondo i Sumeri, si trovava sotto la vigile cura di un pantheon, composto da un vasto gruppo di esseri viventi. Antropomorfi, ma di natura e potere sovrumani, questi esseri, per quanto invisibili agli occhi dell’uomo, guidavano e controllavano il cosmo in armonia con piani ben definiti e con leggi debitamente preordinate. C’erano dèi preposti al cielo, alla terra, all’aria e all’acqua; al sole, alla luna e ai pianeti; al vento, alle burrasche e alle tempeste; ai fiumi, ai monti e alle steppe; a città e a stati; a campi e fattorie; al piccone, allo stampo del mattone e all’aratro. 

Le divinità principali di questo pantheon erano i quattro dèi creatori che controllavano i quattro principali elementi dell’universo: il Dio del Cielo An; la Dea della Terra Ki, che nel corso dei secoli mutò nome per assumere quello di Ninhursag, Regina della Montagna; il Dio dell’Aria Enlil, poi divenuto piano piano il capo del pantheon; e il Dio dell’Acqua Enki, poi designato anche con il nome di Dio della Saggezza. Delle altre divinità più importanti facevano parte il Dio della Luna Nanna; suo figlio, il Dio del Sole Utu; e sua figlia Inanna, Dea del Mattino e Stella della Sera, nota ai Semiti con il nome di Ishtar, Astarte. C’erano anche un gruppo di dèi del cielo noti come gli Anunna, alcuni dei quali sembrano essere decaduti dalla grazia e relegati nell’oltretomba. 

Secondo i teologi sumeri, il potere creativo delle quattro divinità principali consisteva essenzialmente nella parola divina. Tutto ciò che il creatore doveva fare era elaborare i suoi piani, emettere la parola e pronunciare il nome. Inoltre, per tenere continuamente e armonicamente “in funzione” le entità cosmiche e i fenomeni culturali, senza dare adito a conflitti e confusioni, si erano presentati i me: un complesso di regole e di limiti universali e immutabili, che andavano osservati tanto dall’uomo quanto dagli dèi. 

Devozione privata e pietas personale erano importanti, ma il ruolo dominante della religione sumera spettava ai riti e alle cerimonie pubbliche. Centro del culto era naturalmente il tempio, con i suoi sacerdoti e le sue sacerdotesse, i suoi musici e cantori, i suoi eunuchi e i suoi ieroduli. Il tempio era il luogo in cui si offrivano agli dèi quotidiani sacrifici: cibi animali e vegetali, e libagioni di acqua, birra e vino. Inoltre, c’erano la Festa della Luna Nuova e altre meno note celebrazioni mensili. Della massima importanza era la lunga celebrazione del Nuovo Anno, che culminava nel rito del sacro matrimonio: la cerimonia di nozze del monarca in carica con Inanna, Dea dell’Amore e della Procreazione, ritenuta patrona della fertilità del suolo e della fecondità del grembo. 

Tale cerimonia del sacro e regale matrimonio non era che una delle tante pratiche mistiche sumere, imperniantisi attorno alla nozione di un “dio morente” e alla sua resurrezione, nozione che serviva a districare, perlomeno in qualche misura, due imbarazzanti incongruenze teologiche. La prima concerneva l’amaro e incontrovertibile fenomeno per cui, durante i caldi e riarsi mesi estivi, ogni vita animale e vegetale languiva fino a morire. Ciò spingeva i teologi a concludere che il dio in carica era “morto”, trascinato nell’oltretomba, e costretto a rimanervi durante i soffocanti mesi estivi, e che non sarebbe tornato sulla terra prima dell’equinozio d’autunno, epoca del Nuovo Anno sumero, quando la sua riunione sessuale con la moglie dava modo a campi e poderi, a steppe e praterie di tornare ancora una volta a fiorire e a fruttificare. La seconda incongruenza gravitava attorno alla morte del re, pervenuto alla deificazione e, di conseguenza, immortale. La soluzione stava nell’identificare il re con il Dio della Vegetazione, la cui morte, resurrezione e riunione annuale con la sua sposa costituivano dottrina indiscussa. Ogni Nuovo Anno, perciò, i Sumeri celebravano in pompa magna e con grandi cerimonie, con musica e canti, il sacro matrimonio tra il re/“dio risorto” e la dea che gli era moglie. 

Origine ed evoluzione di questa straordinaria fusione tra mito e rituale, tra culto e credo, sono oscure. Nell’antico Sumer c’era un gran numero di “dèi morenti”; ma il più conosciuto è Dumuzi, il biblico Tammuz, per cui le donne di Gerusalemme facevano ancora lutto nei giorni del profeta Ezechiele. Originariamente, il dio Dumuzi era un sovrano (e mortale) sumero, la cui vita e la cui morte hanno lasciato profonda impressione nei pensatori e nei mitografi sumeri. Sua moglie era l’ambiziosa, aggressiva Dea dell’Amore, la quale, stando ai teologi e ai mitografi sumeri, aveva lasciato che il suo insensibile, ingrato sposo venisse trascinato nell’oltretomba, ma si era poi pentita decidendo di dargli la possibilità di risorgere e di tornare sulla terra ogni sei mesi. Era questo matrimonio annuale del re/“Dumuzi risorto” con la dea Inanna a essere commemorato e celebrato ogni Nuovo Anno nel rituale hieros gamos

Letteratura 

Probabilmente, il maggior contributo sumero alla civiltà fu l’invenzione e l’elaborazione del sistema di scrittura cuneiforme (a forma di cuneo), adottato in principio dagli Akkadi e poi dal-la maggior parte, se non da tutti i popoli limitrofi. La scrittura ebbe dapprima vita come una serie di pittogrammi, divisati dai sacerdoti e dagli amministratori del tempio allo scopo di tenere conto delle risorse e delle attività economiche dei santuari. Nel corso dei secoli, scribi e insegnanti sumeri la modificarono, plasmarono e convenzionalizzarono al punto da farle perdere completamente il suo carattere pittografico e da trasformarla in un sistema di scrittura puramente fonetico, in cui ogni segno stava a rappresentare una o più sillabe. 

§ Gran parte delle tavolette e dei frammenti letterari sumeri è stata ritrovata verso la fine del secolo scorso; ma rimase per lo più inedita e inavvicinabile dagli studiosi, sicché fu impossibile valutare scopo e natura del contenuto. Nel corso degli ultimi cinquant’anni sono stati pubblicati, o si trovano in procinto di esserlo, praticamente tutti i brani di letteratura sumera esistenti, e un gran numero di cuneiformisti, giovani e vecchi, hanno dedicato tempo e lavoro alla loro traduzione e interpretazione. Grazie a ciò, risulta oggi evidente che la letteratura sumera comprende una ventina di miti, nove racconti epici, più di duecento inni di diverso genere e tipo, un considerevole numero di elegie e di canti funebri, parecchi documenti storiografici leggendari, e un vasto, diversificato gruppo di testi “eruditi”, comprendenti saggi, dissertazioni, proverbi, precetti e favole. 

Questa vasta letteratura, che consiste di più di trentamila righe di testo, per la maggior parte in forma poetica, costituisce la letteratura scritta più antica e più di peso, quanto a varietà e quantità, finora scoperta; il suo ritrovamento e la sua restaurazione rappresentano uno dei maggiori contributi del nostro secolo alle scienze umane. Materiale immensamente prezioso già di per sé, in quanto prodotto creativo dell’immaginazione sumera, tale letteratura si è rivelata inoltre un tesoro di fonti primarie per lo storico della letteratura e della religione, per lo studioso della Bibbia e dei classici, per l’antropologo e per il sociologo.

§ Sumer, con il suo apogeo e con la sua caduta, fornisce allo storico il più antico esempio di cocente ironia in ciò che riguarda il destino dell’uomo. Come i documenti letterari sumeri ampiamente manifestano, fu la corsa alla preminenza e alla superiorità, alla vittoria, al prestigio e alla gloria a fornire le motivazioni psicologiche donde scaturirono i progressi materiali e culturali per cui i Sumeri vanno giustamente noti: irrigazione su larga scala, invenzioni tecnologiche, architettura monumentale, scrittura, istruzione e letteratura. Per quanto triste possa suonare, è a questa stessa passione per la competizione e il successo che si deve il seme della distruzione e della decadenza. 

Nel corso dei secoli, Sumer si mutò in una “società malata”, pullulante di errori deplorevoli e di angosciose insufficienze: ambiva alla pace ed era costantemente in guerra; professava gli ideali di giustizia, di equità e di comprensione, e abbondava d’ingiustizie, di disuguaglianze e di oppressioni; miope e materialistica, compromise l’ecologia essenziale per la sua economia; fu afflitta da una frattura generazionale tra genitori e figli, e tra studenti e insegnanti. E così Sumer pervenne a una fine tragica e crudele, come lamenta malinconicamente un bardo sumero: legge e ordine cessarono di esistere; case, città, stalle e ovili vennero distrutti; fiumi e canali si ingrossarono di acque amare; campi e steppe non diedero più altro che erbacce e “piante gemebonde”. La madre non si curava più dei figli, né il padre della sua sposa, le balie non intonavano più ninnenanne accanto alla culla. Nessuno più batteva le grandi o le piccole strade; le città finivano in rovina e la loro gente veniva decimata dalla mazza o dalla carestia. Alla fine, sul paese si abbatté una calamità “indescrivibile e giammai nota all’uomo”. 

***

La discesa di Inanna

Dal Gran Superno essa volse l’orecchio al Grande Infero.
Dal Gran Superno la dea volse l’orecchio al Grande Infero.
Dal Gran Superno Inanna volse l’orecchio al Grande Infero. 

La Mia Signora abbandonò cielo e terra per discendere nell’oltretomba. 

Inanna abbandonò cielo e terra per discendere nell’oltretomba. Abbandonò il suo uffizio di sacra sacerdotessa per discendere 

nell’oltretomba.
In Uruk abbandonò il suo tempio per discendere nell’oltretomba. In Badtibira abbandonò il suo tempio per discendere nell’oltretomba.
In Zabalam abbandonò il suo tempio per discendere nell’oltretomba.
In Adab abbandonò il suo tempio per discendere nell’oltretomba. In Nippur abbandonò il suo tempio per discendere nell’oltretomba.
In Kish abbandonò il suo tempio per discendere nell’oltretomba. In Akkad abbandonò il suo tempio per discendere nell’oltretomba. 

Mise insieme i sette me.
Li prese in mano.
Con i me in suo possesso, si preparò:
Si mise in capo la shugurra, corona della steppa. Sistemò sulla fronte i bruni riccioli della sua chioma. Si cinse al collo la sua collana di lapislazzuli,
Se ne lasciò cadere al petto il doppio giro, 

Si avvolse attorno al corpo la tunica regale.
Si truccò gli occhi con la polvere detta: “Fa’ ch’egli venga, Fa’ ch’egli venga”,
Si cinse il petto con la piastra detta: “Su, uomo, su!”, Infilò al polso il cerchio d’oro,
E prese in mano le misure sacre di lapislazzuli. 

Inanna si avviò per l’oltretomba. Ninshubur, la serva sua fedele, era con lei. Inanna le parlò, così dicendo: 

“Ninshubur, mio perenne sostegno,
Mia sukkal, mia saggia consigliera,
Mia guerriera che si batte al mio fianco,
Sono in procinto di scendere nel kur, nell’oltretomba. Non dovessi tornare, 

Intona presso le rovine un’elegia per me.
Batti per me il tamburo nei luoghi di raduno. Pellegrina le case degli dèi.
Lacerati gli occhi, e la bocca, e le cosce.
Come un mendico, indossa un unico indumento.
Vai a Nippur, vai al tempio di Enlil.
Appena entrata nel suo sacro tempio, grida a gran voce: ‘O Padre Enlil, non fare che tua figlia
Sia messa a morte nell’oltretomba.
Non fare che il tuo argento luccicante
Si ricopra di polvere degl’inferi.
Non fare che il prezioso lapislazzuli
Ti sia ridotto in pietra buona solo per lo scalpellino. Non fare che il bosso tuo odoroso
Sia messo in mano al rozzo taglialegna.
Non fare che la sacra sacerdotessa del cielo
Sia messa a morte nell’oltretomba’.
Se Enlil non ti aiuta,
Recati ad Ur, vai al tempio di Nanna.
Piangi dinanzi al Padre Nanna.
Se Nanna non ti aiuta,
Recati a Eridu, vai al tempio di Enki.
Piangi dinanzi al Padre Enki. 

Al Padre Enki, al Dio della Saggezza, è noto il cibo della vita, E note sono le acque della vita;
Egli conosce ogni segreta cosa.
E certamente non lascerà ch’io muoia”. 

Inanna proseguì per l’oltretomba. Poi si arrestò dicendo: 

“Adesso va’, Ninshubur…
E non scordare ciò che ti ho ordinato”. 

Abbiamo scelto di segnalare i tagli effettuati all’estratto sostituendo al canonico “[…]” il simbolo “§”, così da poterlo integrare nel testo e rendere la lettura più scorrevole.
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