Traduzione a cura di Filippo Scafi e Tommaso Garavaglia
Perché voi, intellettuali politici, vi chinate sul proletariato? commiserando cosa? Capisco che vi si odi, se si è proletari, non perché siete borghesi, privilegiati dalle mani fini, ma perché non osate dire la sola cosa importante da dire, che si può godere ingollando l’inculata del capitale, i prodotti del capitale, le barre di metallo, i polistireni, i libri, i panini imbottiti, ingollandone tonnellate fino a crepare – e invece di dire questo, che è anche quello che accade nel desiderio dei capitalizzati, proletari di mani, di culi e di teste, ebbene, voi vi fate una testa di uomini, testa di magnaccia, vi chinate e dite: ah, ma questa è alienazione, non sta bene; aspettate, sta per arrivare la vostra liberazione, stiamo lavorando per liberarvi da questo perfido attaccamento alla servitù, vi restituiremo la dignità. E in questo modo vi mettete dalla parte più ignobile, moralisti, quella in cui si desidera che il nostro desiderio di capitalizzati venga completamente ignorato, interdetto, calpestato, siete come preti con i peccatori, vi fanno paura le nostre intensità servili, avete bisogno di dirvi: come devono soffrire sopportando tutto questo! Certo che soffriamo, noi, i capitalizzati, ma questo non vuole che non godiamo, né che quello che vorreste offrirci come rimedio – a che cosa? – non ci disgusti ancora di qui, abbiamo orrore della terapeutica e della sua vasellina, preferiamo schiantare sotto gli eccessi quantitativi che voi giudicate insensati. E non vi dovete nemmeno aspettare che la nostra spontaneità si ribelli.
Nell’introduzione alla sua traduzione (1993) dell’Economia Libidinale di Lyotard, da cui deriva lo straordinario sfogo qui sopra, Iain Hamilton Grant fa riferimento a una certa “maturità della saggezza contemporanea”. Secondo questa “maturità”, osserva Grant, Economia Libidinale è stata «un’esplosione minore e di breve durata di un espressionismo antifilosofico un po’ ingenuo, una tendenza estetizzante che poggiava su un rinnovato interesse per Nietzsche prevalente alla fine degli anni Sessanta». Grant raggruppa il libro di Lyotard con altri tre: L’Anti Edipo di Deleuze e Guattari, Speculum: l’altra donna di Luce Irigaray e Lo scambio simbolico e la morte di Baudrillard. «Economia libidinale ha in generale avuto una scarsa risposta critica», continua Grant, «salvo la perdita di molti amici marxisti di Lyotard. Infatti, con poche eccezioni, è ormai solo lo stesso Lyotard a fare occasionalmente riferimento al libro in maniera piuttosto critica, definendolo il suo “libro malvagio, il libro che tutti coloro che scrivono e pensano sono tentati di fare”». Questo è rimasto il caso fino alla Persistenza del Negativo di Ben Noys, in cui Noys posiziona Economia Libidinale e Anti Edipo come parte di ciò che egli chiama un momento «accelerazionista». Un paio di citazioni di questi due testi danno immediatamente il sapore dell’espediente accelerazionista.
Da L’Anti Edipo:
Ma quale via rivoluzionaria, ce n’é forse una? Ritirarsi dal mercato mondiale come consiglia Samir Amin ai paesi del Terzo Mondo, in un curioso rinnovamento della «soluzione economica» fascista? Oppure andare in senso contrario? Cioè andare ancora più lontano nel movimento del mercato, della decodificazione e della deterritorializzazione? Forse, infatti, i flussi non sono ancora deterritorializzati, abbastanza decodificati, dal punto di vista di una teoria e di una pratica dei flussi ad alto tenore schizofrenico. Non ritirarsi dal processo, ma andare più lontano, «accelerare il processo», come diceva Nietzsche: in verità, su questo capitolo, non abbiamo ancora visto nulla.
E da Economia Libidinale – l’unico passaggio del testo che viene ricordato, se non altro nella notorietà:
I disoccupati inglesi non si sono fatti operai per sopravvivere, hanno – tenetevi forte e sputatemi addosso – goduto dell’esaurimento isterico, masochistica, non so che cosa, di resistere nelle miniere, nelle fonderie, nei laboratori, all’inferno, hanno goduto nella e della folle distruzione del loro corpo organico che certo era stata loro imposta, hanno goduto che gli fosse imposta, hanno goduto della decomposizione della loro identità personale, di quella che gli aveva costruito la loro tradizione contadina, goduto della dissoluzione delle famiglie e dei villaggi, e goduto sera e mattina del nuovo mostruoso anonimato della periferia e dei pubs.
Sputare su Lyotard l’hanno fatto di sicuro. Ma in cosa risiede la presunta natura scandalosa di questo passaggio? Alzi la mano chi vuole abbandonare i propri anonimi sobborghi e pub e tornare al fango della vita contadina. Alzi la mano chi vuole davvero tornare alle territorialità pre-capitalistiche, alle famiglie e ai villaggi. Alzino la mano, inoltre, coloro che credono davvero che questi desideri di integrità organica restaurata siano estrinseci alla cultura tardo-capitalista, piuttosto che interni alle componenti pienamente incorporate dell’infrastruttura libidica capitalista. Hollywood stessa ci dice che possiamo sembrare sempre tecno-dipendenti, agganciati al cyberspazio, ma dentro di noi, nel nostro vero io, siamo primitivi e organicamente legati al pianeta/madre, vittimizzati dal complesso militare-industriale. Avatar di James Cameron è significativo perché mette in evidenza il disconoscimento che è costitutivo della soggettività tardo-capitalista, anche se mostra come questo disconoscimento sia sottovalutato. Possiamo giocare ad essere primitivi interiori solo in virtù della tecnologia, davvero cinematografica, proto-VR, la cui stessa esistenza presuppone la distruzione dell’idillio organico di Pandora.
E se non c’è desiderio di tornare indietro, se non come una vacanza a buon mercato nell’Hollywood della miseria altrui – se, come sostiene Lyotard, non ci sono società primitive, (sì, il Terminator c’è stato fin dall’inizio, distribuendo microchip per accelerare il suo avvento); non è, allora, l’unica direzione da seguire? Attraverso la merda del capitale, le barre di metallo, il suo polistirolo, i suoi libri, i suoi paté di salsiccia, la sua matrice del cyberspazio?
Voglio fare tre affermazioni qui –
1. Tutti sono accelerazionisti
2. L’accelerazionismo non è mai accaduto
3. Il marxismo non è nulla se non è accelerazionista
Dei testi degli anni ’70 che Grant cita nel suo round-up, Economia Libidinale è stato per certi versi il collegamento più cruciale con la cyber-teoria britannica degli anni ’90. Non è solo il contenuto, ma anche il suo tono intemperante ad essere significativo. Qui potremmo ricordare le osservazioni di Zizek su Nietzsche: a livello contenutistico, la filosofia di Nietzsche è ora eminentemente assimilabile; è lo stile, l’invettiva, di cui non possiamo immaginare un equivalente contemporaneo, almeno non uno di cui si discute solennemente in accademia. Sia Iain Grant che Ben Noys seguono lo stesso Lyotard nel descrivere Economia libidinale come un’opera di affermazione, ma, come i testi di Nietzsche, essa rimanda abitualmente la sua affermazione, impegnandosi per gran parte del testo in una serie di odi (apparentemente tra parentesi). Mentre L’Anti-Edipo rimane per molti versi un testo della fine degli anni Sessanta, Economia libidinale anticipa gli anni Settanta punk, e attinge agli anni Sessanta che il punk proietta retrospettivamente. Non molto al di sotto del “desire-drunk yes” di Lyotard, si trova il No dell’odio, della rabbia e della frustrazione: nessuna soddisfazione, nessun divertimento, nessun futuro. Queste sono le risorse della negatività con cui credo che la sinistra debba riprendere contatto. Ma ora è necessario invertire l’enfasi di Deleuze-Guattari/Economia libidinale sulla politica come mezzo per una maggiore intensificazione libidinale: si tratta piuttosto di strumentalizzare la libido a fini politici.
Se Economia libidinale è stato ripudiato, benché più spesso ignorato, al momento teorico degli anni ’90, a cui ha contribuito la traduzione di Grant, è andata anche peggio. Nonostante la sua attuale reputazione di fondatore del Realismo Speculativo, i testi incendiari degli anni ’90 di Grant – i sublimi interventi chirurgici cyborg di Grant che suturavano Blade Runner in Kant, Marx e Freud – sono quasi scomparsi dalla circolazione. L’opera dell’ex mentore di Grant, Nick Land, non ha nemmeno suscitato commenti derisori. Come Economia libidinale, anche il suo lavoro ha suscitato poche reazioni critiche – e Land non aveva amici marxisti da perdere. L’odio per la sinistra accademica è stato infatti uno dei motori libidinosi del lavoro di Land. Egli scrive in Machinic Desire:
La rivoluzione macchinica deve quindi andare nella direzione opposta alla regolamentazione socialista che spinge verso una sempre più disinibita commercializzazione dei processi che stanno abbattendo il campo sociale, «ancora di più» con «il movimento del mercato, della decodificazione e della deterritorializzazione» e «non si può mai andare abbastanza lontano nella direzione della deterritorializzazione: non si è ancora visto niente.»
Land era il nostro Nietzsche – con la stessa esca delle cosiddette tendenze progressiste, la stessa bizzarra miscela di reazionario e futuristico, e uno stile di scrittura che aggiorna gli aforismi ottocenteschi in quello che Kodwo Eshun chiamava «testo alla velocità campione». La velocità – in astratto e in senso chimico – era qui cruciale: provocazioni telegrafiche tecno-punk che sostituivano la vistosa cogitazione di tanto continentalismo post-strutturalista, con l’implicazione che quanto più laboriosa e agonizzante era la scrittura, tanto più il pensiero doveva andare avanti.
Qualunque siano i meriti delle altre provocazioni teoriche di Land (e suggerirò alcuni seri problemi con esse, al momento), i suoi assalti stanchi alla sinistra accademica – o il brontolio imborghesito e sovvenzionato, che così spesso definisce il marxismo accademico – rimangono incalzanti. La regola non scritta di questi «insaccatori carrieristi» è che nessuno si aspetta seriamente che avvenga mai una rinuncia alla soggettività borghese. Passami il Merlot, ho una carriera di critica cavillosa da portare avanti. Così assistiamo a una protezione spietata degli interessi piccolo-borghesi travestita da politica. Paper sull’antagonismo, poi tutti al pub. Anziché ciò, Land ha preso sul serio, fino alla psicosi e alla schizofrenia auto-indotta, l’ingiunzione spinozista-nietzscheana-marxista che una teoria non dovrebbe essere presa sul serio se rimane al livello della rappresentazione.
Di cosa si occupa allora la filosofia di Land?
In poche parole: del desiderio macchinico di Deleuze e Guattari, spogliato senza rimorsi di tutto il vitalismo bergsoniano, e reso retrocompatibile con la pulsione di morte freudiana e il Wille (la Volontà) di Schopenhauer. Il motore della storia hegelo-marxista viene poi trapiantato in questo nichilismo pulsionale: la Volontà autonoma ed idiota non circola più in modo stupido su se stessa, ma viene potenziata in una pulsione e guidata da un attrattore di intelligenza artificiale quasi-teleologica che disegna la storia terrestre su una serie di soglie intensive che non hanno un punto escatologico di consumo, e che raggiungono la fine empirica solo in modo imprevisto se, e quando, il suo substrato materiale brucia. Questa è l’inversione del materialismo storico hegelo-marxista: il Capitale non verrà smascherato in quanto sfruttamento della forza lavoro; piuttosto, sono gli esseri umani ad essere il burattino di carne del Capitale, le loro identità e la loro autocomprensione sono simulazioni che possono essere, e saranno, in ultima istanza, spazzate via.
Altri due esempi testuali aiutano a stabilire la narrazione:
Il Commercio Planetario emergente cestina il Sacro Romano Impero, il Sistema Continentale Napoleonico, il Secondo e il Terzo Reich, e l’Internazionale Sovietica, incrementando il disordine mondiale attraverso fasi di compressione. La deregolazione e lo stato si sfidano nella corsa agli armamenti nel cyberspazio.
Sta cessando di essere una questione di come pensiamo la tecnica, se non altro perché la tecnica sta sempre più pensando a se stessa. Potrebbe ancora passare qualche decennio prima che l’intelligenza artificiale sorpassi l’orizzonte di quella biologica, ma è assolutamente superstizioso immaginare che il dominio umano della cultura terrestre sia ancora segnato nei secoli, per non parlare di una perpetuità metafisica. La lunga strada verso il pensiero non passa più attraverso l’approfondimento della cognizione umana, ma piuttosto attraverso il divenire inumano della cognizione, una migrazione della cognizione verso l’emergente riserva planetaria tecnosenziente, in «paesaggi de-umanizzati … spazi vuoti» (Cinema 2, Deleuze), dove la cultura umana si dissolverà.
Ciò è – piuttosto evocativamente – teoria nei panni di finzione cyberpunk: il concetto deleuzo-guattariano di capitalismo in quanto Cosa virtuale innominabile che infesta tutte le precedenti formazioni saldate in maniera pulp alle curvature del tempo dei film Terminator: «ciò che appare all’umanità come la storia del capitalismo è un’invasione dal futuro da parte di uno spazio artificialmente intelligente che deve assemblarsi interamente dalle risorse del suo nemico», come leggiamo in “Machinic Desire”. Capitale come pulsione mega-mortale e come Terminator: ciò con cui «non si può contrattare, ragionare, e che non non mostra pietà o rimorso o paura, e che non si fermerà assolutamente, mai». Il pirataggio landiano dei film Terminator, Blade Runner e Predator ha reso i suoi testi parte di una tendenza convergente – una cybercultura accelerazionista in cui la produzione di suoni digitali ha dischiuso un futuro inumano che andava assaporato invece che rigettato. La teoria-poesia di Land ha messo in parallelo le tendenze digitali della jungle anni ‘90, della techno e dalla doomcore, che campionava dalle stesse identiche risorse cinematografiche, e che ha inoltre anticipato «l’imminente estinzione umana divenire accessibile come una pista da ballo».
Che cosa ha a che fare ciò con la sinistra? In primo luogo Land è il tipo di antagonista di cui essa ha bisogno. Se il cyber-futurismo landiano può sembrare obsoleto, lo è solo nello stesso senso della jungle e della techno – non perché sono stati sostituiti da nuovi futurismi, ma poiché il futuro in quanto tale ha ceduto alla retrospezione. L’attuale futuro prossimo non riguardava la spoliazione del Capitale della sua maschera in lattice, con la conseguente rivelazione, al di sotto, della testa di morte macchinica; si trattava piuttosto del contrario: New Sincerity, computer Apple sponsorizzati da carinerie pop e kitsch. L’incapacità di prevedere fino a che punto il pastiche, la ricapitolazione, e l’individualismo nevrotico iper-edipizzato sarebbero diventate le tendenze culturali dominanti non è affatto un errore contingente; esso indica un fondamentale errore di valutazione circa le dinamiche del capitalismo. Ma questo non legittima un ritorno alle pelle d’oca e alle parrucche in polvere della rivoluzione borghese del Settecento, o alle logiche fallimentari infinitamente ripetute del Maggio ‘68, nessuna delle quali possiede una presa sul terreno politico e libidinale in cui siamo attualmente inseriti.
Mentre il remix cyber-gotico landiano di Deleuze e Guattari è in molti aspetti superiore all’originale, la sua deviazione dalla loro comprensione del capitalismo è fatale. Land fa collassare il capitalismo in ciò che Deleuze e Guattari chiamano schizofrenia, perdendo così la loro intuizione cruciale circa il modo in cui il capitalismo operi attraverso processi simultanei di deterritorializzazione e riterritorializzazione compensatoria. Il volto umano del capitale non è qualcosa che in ultima istanza può essere messo da parte, una componente opzionale, oppure una guaina-bozzolo di cui si può fare a meno. I processi astratti di decodifica che il capitalismo mette in moto devono essere contenuti da arcaismi improvvisati, affinché il capitalismo non cessi di essere tale. Analogamente, i mercati potrebbero, o meno, essere le reti auto-organizzative descritte da Fernand Braudel e Manuel DeLanda, ma ciò che è certo è che il capitalismo, dominato da quasi-monopoli come Microsoft e Wal-Mart, è un anti-mercato. Bill Gates promette business alla velocità del pensiero, ma ciò che il capitalismo elargisce è il pensiero alla velocità del business. Una simulazione di innovazione e novità che nasconde inerzia e stasi.
Precisamente per queste ragioni, l’accelerazionismo può funzionare come una strategia anti-capitalistica – non la sola (va ne sono di altre disponibili), ma una strategia che deve essere parte di qualsiasi programma politico che si definisca marxista. Il fatto che il capitalismo tenda verso la stagflazione (crasi di stagnazione ed inflazione, ndr), che la crescita è per diversi aspetti illusoria, è una ragione in più per cui l’accelerazionismo può funzionare in una maniera che Alex Williams caratterizza come “terroristica”. Ciò di cui qui non stiamo parlando è quel tipo di intensificazione dello sfruttamento che un impulsivo socialismo umanista potrebbe immaginare quando lo spettro dell’accelerazionismo viene invocato. Come suggerisce Lyotard, una sinistra che cade in una critica moralistica al capitalismo rappresenta un tradimento senza speranza del futurismo anti-identitario che il marxismo deve sostenere se vuole significare qualcosa. Quello di cui abbiamo bisogno, come Fredric Jameson – l’autore di Wal-Mart as Utopia – sostiene, non è una nuova mossa al di là del bene e del male, e ciò, dice Jameson, si trova nientemeno che nel Manifesto del partito comunista. «Il manifesto», scrive Jameson, «propone di vedere il capitalismo come il momento più produttivo e al contempo distruttivo della storia, ponendo l’imperativo di pensare al Bene e al Male contemporaneamente, e dunque come dimensioni inseparabili ed inestricabili dello stesso tempo presente. Questo rappresenta un modo più produttivo di trascendere Bene e Male del cinismo e della sregolatezza che svariati lettori attribuiscono al programma nietzscheano». Il capitalismo ha abbandonato il futuro giacché non può consegnarlo. Tuttavia, le tendenze contemporanee della sinistra verso il canutismo, la sua retorica della resistenza e dell’ostruzione, collide con l’anti/meta-narrazione del capitale che è l’unica rimasta in piedi. È giunta l’ora di lasciarsi alle spalle le logiche delle rivolte fallimentari, per pensare di nuovo al futuro.