Materia frantumata, forme trasformate: Note di estetica nucleare

Parte 1

by / 14 Febbraio 2021

Coloro che oggi si limitano alla percezione di ciò che è visibile in quel momento, perdono la realtà. 
– Günther Anders 1

Introduzione

A partire dalla fine del XIX secolo, le tecnologie – come la pellicola e la fotografia ad alta velocità – hanno permesso la scoperta di un inconscio ottico oltre la vista umana; come parte della permanente rivoluzione copernicana che è la modernità, i nostri sensi sono stati messi sempre più a confronto coi loro stessi limiti. La scoperta dei raggi X, da parte di Wilhelm Röntgen nel 1895, non solo ha dimostrato che la realtà è attraversata da raggi invisibili, rilevabili solo attraverso protesi tecnologiche, ma ha trasformato la tecnologia stessa in un elemento del processo conoscitivo2. Anche la radioattività dell’uranio venne rivelata dalla fotografia nel 1896: quando Henri Becquerel espose la carta fotografica all’uranio, si manifestò nel buio una forma di radiazione non rilevabile dall’occhio umano3. Come ha sostenuto Joseph Masco, questa disgiunzione tra la percezione umana e i media tecnologici ha continuato ad ampliarsi nel regime nucleare del dopoguerra:

Mentre i dispositivi protesici che popolano i laboratori di fisica nucleare permettono agli scienziati di entrare nel regno subatomico e di misurare gli effetti materiali del plutonio e di altri radionuclidi, la maggior parte delle persone nell’era nucleare rimane letteralmente insensibile alle radiazioni, dipendendo, nella vita quotidiana, da intuizioni biologiche, e non macchiniche4.

Se seguiamo il suggerimento di Our Literal Speed secondo cui «la guerra fredda potrebbe forse essere reinterpretata come, tra molte altre cose, una violenta lotta mondiale tra due imprecazioni in competizione: il Just Look! del capitalismo e il Don’t Believe Your Eyes! comunista» e che «il comunismo è sempre stato dalla parte dell’invisibile: il subvisuale, l’infrastrutturale, l’appena visibile, ciò che resiste ad essere parafrasato in qualsiasi termine già concordato», allora il rispecchiamento del blocco sovietico dell’uso militare e “pacifico” della tecnologia nucleare da parte dell’Occidente – avvolto nella massima segretezza e imposto a una popolazione priva di potere in materia – non è l’aspetto meno dannoso del “socialismo realmente esistente”5. Entrambe le parti hanno effettivamente detto alle rispettive popolazioni: «Guardate, non c’è niente da vedere!». Una parte aveva Harrisburg; l’altra Chernobyl.

L’invisibilità politica che riveste l’invisibilità letterale delle pericolose radiazioni ionizzanti viene saltuariamente spezzata in concomitanza alla spettacolarità di un disastro. Il problema, tanto estetico quanto sociale, rimane – e rimarrebbe, anche dopo l’improbabile abbandono globale della tecnologia nucleare, sotto forma di un’enorme quantità di rifiuti radioattivi. Il decentramento copernicano della prospettiva umana dovuto all’insinuarsi della fisica nucleare nel tessuto stesso della materia, si accompagna ad intervalli vertiginosi di tempo in cui sembra venga messa in dubbio la possibilità di un’azione significativa, sociale e politica, capace di pensare “a breve termine”. Il regime nucleare, quindi, esaspera una certa crisi moderna dell’estetica. L’estetica appartiene ai sensi, al sensibile. Cosa succede, allora, se la moderna “padronanza” della materia penetra nel regno infrasensibile, con conseguenze che per tutti gli esseri viventi vengono accuratamente mantenute astratte e ipotetiche? In altre parole, il regime nucleare del dopoguerra conferma che l’estetica è una pratica e una teoria della crisi, della mancanza, della pietrificazione di distese sublimi e della decisione di lavorare con qualsiasi forma o grado di concretezza si possa raggiungere.

1. Aisthesis atomica: iperoggetti e infra-oggetti

L’estetica può rivolgersi e riferirsi all’astratto, può diventare una teologia negativa dell’insensato, ma ha ancora bisogno di momenti di concrezione e di incarnazione. È esattamente questo che la pone in contrasto con le idee di alcuni esponenti del realismo speculativo object-oriented. La lotta contro il “correlazionismo” è in definitiva una lotta contro la modalità estetica. Il correlazionismo è un’inquadratura, carica e problematica, della storia della filosofia a partire da Kant, il quale, si dice, abbia volontariamente ridotto le questioni ontologiche a questioni di epistemologia – la “correlazione” tra oggetto e soggetto. L’insistenza di Kant sul fatto che ciò che percepiamo come realtà è il prodotto di forme di pensiero innate, ha portato all’abbandono dell’ontologia a favore dell’epistemologia e della correlazione mente-mondo6. Il mondo, da quel momento in poi, doveva essere filtrato attraverso l’uomo; le categorie e gli schematismi della mente strutturano la realtà come la percepiamo e la conosciamo e il Ding an Sich [cosa-in-sè] cade fuori dalla sfera del pensiero.

Non importa che l’idealismo e materialismo filosofico post-kantiani passino dalla correlazione a una dialettica tra soggetto e oggetto; ciò rimane un fatto inaccettabile per i neo-ontologi, come Graham Harman, che cercano di definire gli oggetti non in relazione a qualsiasi realtà condivisa con la percezione e la vita umana – come oggetti sensibili – ma a partire «dalla loro realtà autonoma. Devono essere autonomi in due direzioni separate: emergere come qualcosa al di sopra delle loro parti mentre si astengono parzialmente da rapporti con altre entità»7. Questi oggetti di pensiero sono stranamente simili a opere d’arte auratiche e feticizzate, tranne per il fatto che non condividono alcuno spazio con altri feticci che li incorporerebbero in un gioco strutturale di significazione mediante differenza. La moderna “opera d’arte autonoma”, infatti, ha sempre complicato qualsiasi distinzione netta tra oggetto e soggetto, presentando allo spettatore (o all’ascoltatore, o al lettore) un’entità esterna posseduta da una logica onirica la cui comprensione giace per sempre dietro l’angolo successivo dell’esperienza estetica. Hegel, notoriamente, definì il bello come “das sinnliche Scheinen der Idee“, l’aspetto sensibile o splendente dell’idea8. Per l’estetica idealistica, l’opera d’arte era una sfida e una promessa proprio perché era nell’opera d’arte, in forma “alienata”, che la soggettività poteva veramente manifestarsi; in seguito, l’estetica materialista si concentrò sulla materialità dell’opera d’arte proprio perché essa poteva servire da correttivo all’egemonia del soggetto idealista. Con Harman, niente di tutto ciò sembra avere più molta importanza.

Di conseguenza, alcuni proseliti della speculazione orientata all’oggetto cercano di salvare l’arte dall’estetica: poiché «l’arte contemporanea come esperienza estetica del senso e della creazione di valore, come la co-costituzione dell’oggetto artistico e del soggetto, assume il correlazionismo e lo riproduce», l’arte deve diventare post-contemporanea diventando post-estetica e poetica – poiché l’estetica, che è convenientemente definita in termini kantiani ristretti, si dice che rimanga correlazionista limitando l’esperienza alle «condizioni della possibilità del nostro pensiero», mentre la poetica «si riferisce a un fare qualcosa in cui il confine dal non-essere all’essere è attraversato»9. Tali memi teorici sottraggono ogni strumento per la mappatura cognitiva, per navigare nelle astrazioni reali interconnesse e nelle loro articolazioni sovradeterminate. D’altra parte, vi sono alcune posizioni all’interno del campo speculativo-oggettivo che forniscono indicazioni per un tale orientamento.

Timothy Morton, pur concordando con la critica correlazionista, propone quella che si potrebbe definire una lettura disgiuntivista di Kant: Morton sottolinea che Kant, nell’affermare che la “cosa in sé” è inconoscibile e tutto ciò a cui possiamo accedere è ciò che è stato prodotto dalla nostra mente, ha aperto un divario tra il fenomeno e quella cosa che prefigura il resoconto di ciò che Morton definisce iperoggetti. Il divario kantiano diventa «la frattura tra il tempo atmosferico, che posso sentire cadere sulla mia testa, e il clima globale; non la vecchia idea di modelli locali del tempo, ma l’intero sistema»10. Gli iperoggetti sono «massicciamente distribuiti nel tempo e nello spazio» e potrebbero essere qualsiasi cosa, da un buco nero a un campo di petrolio, le Everglades, la biosfera, o «la somma totale di tutti i materiali nucleari sulla Terra; o solo il plutonio, o l’uranio»11. Sono distribuiti in modo da non essere mai completamente concreti, completamente sensibili; tuttavia, in linea con l’ontologia orientata agli oggetti, Morton sottolinea che gli iperoggetti non sono necessariamente iper solo, o principalmente, in relazione agli esseri umani: «Una cosa è solo una frattura tra ciò che è e il modo in cui appare per qualsiasi entità, non solo per quella speciale entità chiamata soggetto (umano)». La sua relativa attenzione agli «iperoggetti in relazione agli esseri umani» è presentata come una sorta di concessione12. Poiché Morton scrive che «una delle entità intrappolate nell’iperoggetto che qui chiamo riscaldamento globale» appare chiaramente essere più urgente (per noi) rispetto ai buchi neri13.

Tuttavia, il cambiamento climatico istanzia il gap kantiano tra fenomeno e cosa-in-sé, o piuttosto attualizza la correlazione kantiana tra mente e mondo, di cui la cosa-in-sé è un residuo irrilevante? Come hanno sostenuto Déborah Danowski e Eduardo Viveiros de Castro «Possiamo vedere l’ironia della nostra situazione come quella di una catastrofica oggettivazione terrestre della correlazione» – in altre parole «il pensiero umano, materializzato come una gigantesca macchina tecnologica di impatto planetario, correla effettivamente e distruttivamente il mondo»14. Se le astrazioni produttive della tecnoscienza moderna – questo logos armato, trasformativo e operativo – hanno ristrutturato il mondo, lo hanno fatto attraverso la «linearità effettivamente esistente» dei PIL e dei livelli di CO2.

Un ritornello presente in tutto il lavoro di Morton, specialmente quando si tratta della natura non-locale degli iperoggetti, è la radiazione:

Le radiazioni nucleari non sono visibili agli esseri umani. Gli incidenti nucleari di Chernobyl e Fukushima hanno immerso gli esseri umani, fino a migliaia di chilometri di distanza, in particelle alfa, beta e gamma invisibili, mentre le particelle radioattive galleggiavano nelle correnti d’aria attraverso l’Europa e il Pacifico. Giorni, settimane, mesi o anni dopo, alcuni esseri umani muoiono di malattie causate dalle radiazioni. Crescono strani fiori mutageni15.

Morton è quindi l’ultimo di una serie di teorici, scrittori e artisti ad affrontare la crisi dell’apparato sensoriale umano nell’era della tecnologia nucleare – in un registro spesso mistificatorio, e senza vedere o riconoscere la connessione con un filone di teoria molto differente. La sua affermazione che «la località è sempre una falsa immediatezza» richiama la critica marxiana della pseudo-concrezione16. In effetti, la teoria marxiana ha a lungo analizzato il capitalismo in quanto iperoggetto – senza usare esattamente tale termine. Tuttavia, nozioni come feticismo della merce e pseudo-concrezione sono modi di articolare il punto messo in rilievo dal polemista post-situazionista Jaime Semprun: c’è un vuoto sensoriale nel cuore del capitalismo in quanto economia di astrazione reale in cui i rapporti produttivi non si mostrano nella merce.

Nel suo trattato contro il regime nucleare, La Nucléarisation du monde, scritto sotto forma di una difesa ironica e swiftiana della tecnologia nucleare, Semprun osserva che «nulla è più discreto delle radiazioni»17. In quanto fenomeno infrasensibile che può tuttavia avere conseguenze fisiche molto visibili, il nucleare è un problema estetico-politico di primo ordine. Semprun, in un testo apparso originariamente nel 1980 e ripubblicato dopo il disastro di Chernobyl per volere di Guy Debord, sottolinea che, in questo senso, il nucleare dovrebbe essere visto come un’esacerbazione dei feticci merceologici capitalisti che già rivendicano un’autonomia dall’umano e relegano nell’invisibilità il lavoro e i rapporti produttivi che li hanno prodotti:

Poiché la fissione nucleare agisce sulla struttura stessa della materia inorganica (così come l’ingegneria genetica – complemento indispensabile per la costruzione di un essere umano nuclearizzato – agisce sulla struttura stessa della materia organica), d’ora in poi non c’è più nulla da vedere. Comprendiamo che questo possa essere un po’ sconcertante in un mondo in cui la vista è il senso che istruisce tutti gli altri sensi; quello che non è così facile da capire, però, è il fatto che mentre gli uomini si ribellano a un potere che sfugge ai loro sensi, non sembrano tuttavia essersi accorti che tutte le loro attività sono sottoposte a un potere altrettanto impalpabile e invisibile come quello nucleare, un potere la cui portata è talmente generalizzata che la nuclearizzazione stessa è solo una delle sue conseguenze tra le altre. Era indubbiamente necessario che lo sconfinato potere sociale costituito dall’esistenza delle relazioni di mercato proclamasse audacemente la sua autonomia sotto forma di potere nucleare, affinché la gente prendesse coscienza della necessità di sottomettersi ai suoi imperativi. In questo senso, l’energia nucleare è, per la questione sociale, una scoperta altrettanto importante di quella dell’inconscio per la psicologia individuale18.

Con tagliente ironia, Semprun chiede: «Quale persona con un minimo di rispetto per il materialismo negherebbe che il nostro ambiente è molto meno acquatico che sociale?». Oggi, naturalmente, la retorica dovrebbe essere diversa, poiché gran parte del discorso antropocenico si basa proprio sulla consapevolezza che il nostro ambiente è naturale, oltre che culturale e sociale – una consapevolezza innescata dai drastici effetti che l’attività umana ha sull’ecosistema planetario. Tuttavia, i critici della nozione di Antropocene hanno sostenuto che essa naturalizza effettivamente la nuova era geologica e i sintomi catastrofici che genera attribuendoli all’anthropos, la razza umana in quanto tale. Non dovremmo piuttosto usare il termine Capitalocene, per esempio? E un’analisi degli iperoggetti come il riscaldamento globale e le radiazioni non dovrebbe includere gli iperoggetti economici come il sistema finanziario e il capitalismo in quanto tale? Non possiamo mai vedere il capitalismo in quanto tale, davanti ai nostri occhi, come un oggetto qualsiasi. Tutte le merci sono meri epifenomeni dell’iperoggetto; come lo è la nostra stessa esperienza di lavoratori, o di disoccupati, o di rifugiati; come lo sono i segni di distruzione ecologica e sociale a cui possiamo assistere. Come usare l’esperienza personale – o il fallimento dell’esperienza, l’incontro mancato con l’iperoggetto – come punto di partenza?

2. Atomismo ontologico, scientifico, monetario

Curiosamente, la tesi di dottorato di Karl Marx del 1841 riguardava il tema degli atomi: la differenza tra la filosofia della natura di Democrito e quella di Epicuro, entrambe atomistiche. L’atomismo greco era stato riscoperto nel Rinascimento attraverso il poema De rerum natura del romano Lucrezio. Con la sua negazione della creazione e di un piano divino, la sua affermazione di un tempo e di uno spazio infiniti e l’insistenza che tutto consiste di particelle minuscole, così come il suo privilegiare eticamente il piacere sull’abnegazione e la sofferenza, l’atomismo era un anatema per una Chiesa cattolica che era in grado di fare pace con vari elementi del platonismo e dell’aristotelismo. L’atomismo, come sottolinea una preghiera latina del XVII secolo per i giovani gesuiti citata da Stephen Greenblatt, negava la forma divina della creazione:

Niente viene dagli atomi.
Tutti i corpi del mondo brillano della bellezza delle loro forme.
Senza di esse il globo sarebbe solo un intenso caos19.

Marx, che fa ampio uso di Lucrezio, nota che per Democrito il principio atomistico può essere

percepito solo attraverso la ragione, poiché [gli atomi] sono inaccessibili all’occhio se non altro per la loro piccolezza. Per questo motivo, essi vengono addirittura designati come idee. L’apparenza sensibile è invece l’unico oggetto vero, e l’aisthesis [la percezione sensibile] è la phronesis [ciò che è razionale]; questo oggetto vero però è il mutevole, l’instabile, il fenomeno20.

Nella filosofia di Democrito, «il concetto di atomo e la percezione sensibile si affrontano come nemici», con la realtà empirica che gioca il ruolo di «sembianza soggettiva» nei confronti del concetto filosofico dell’atomo 20. Al contrario, Epicuro sottolinea l’oggettività delle apparenze dei sensi: «Mentre Democrito trasforma il mondo sensuale in apparenza soggettiva, Epicuro lo trasforma in apparenza oggettiva. E qui egli differisce abbastanza consapevolmente, poiché afferma di condividere gli stessi principi, ma di non ridurre le qualità sensibili a cose di mera opinione»21. Qui cominciamo a vedere perché tali questioni filosofiche apparentemente arcinote sarebbero state interessanti per il giovane Marx, che si stava facendo strada attraverso Hegel e che si stava già muovendo oltre l’idealismo.

Per quanto riguarda la teoria dell’atomo in sè, entrambi i pensatori assumono che gli atomi condividano due tipi di movimento: la caduta in linea retta nel vuoto e una repulsione reciproca tra di loro. Epicuro aggiunge un elemento in più: la capacità dell’atomo di deviare dalla linea retta. «Gli atomi sono corpi totalmente autosufficienti, o piuttosto corpi concepiti in assoluta autosufficienza, come i corpi celesti. Quindi, sempre come i corpi celesti, si muovono non in linea retta, ma in linea obliqua. Il moto della caduta è il moto della non autosufficienza». Lucrezio indicò la deviazione dalla linea retta introdotta da Epicuro come responsabile della rottura con «i fati foedera, [vincoli del destino]»22. In un ulteriore riferimento in linea con Lucrezio, Marx nota che «se gli atomi non declinassero, né la loro repulsione né il loro incontro avrebbero avuto luogo, e il mondo non sarebbe mai stato creato»23. Epicuro, quindi, viene ad essere identificato per Marx con il materialismo – con un materialismo che non è astorico e deterministico ma che pone l’accento sullo sviluppo e sulla contingenza. Mentre per Democrito l’atomo rimane «una categoria pura e astratta, un’ipotesi, il risultato dell’esperienza, non il suo principio attivo [energisches]», in Epicuro «l’atomistica con tutte le sue contraddizioni è stata portata avanti e completata come scienza naturale dell’autocoscienza. Questa autocoscienza sotto forma di individualità astratta è un principio assoluto»24 24.

Tale individualità astratta è il limite dell’epicureismo:

Lo scopo dell’azione si trova dunque nell’astrarre, nell’allontanare il dolore e la confusione, nell’atarassia. Quindi il bene è la fuga dal male, il piacere la fuga dalla sofferenza. Infine, dove l’individualità astratta appare nella sua massima libertà e indipendenza, nella sua totalità, ne consegue che l’essere che viene allontanato è tutto l’essere, per questo gli dei si allontanano dal mondo, non si preoccupano di esso e vivono fuori di esso25.

Così Marx, imbevuto di teoria estetica idealista, fornisce quasi accidentalmente una base atomistica per l’arte greca classica, poiché questi Dei che «si disinteressano di noi e del mondo, sono onorati per la loro bellezza, la loro maestà e la loro natura superiore … non sono una finzione di Epicuro. Sono esistiti. Sono le divinità elastiche dell’arte greca»26. Ciò rappresenta un progresso rispetto a un momento precedente in cui gli dèi erano tenuti in soggezione. Marx cita un verso del Prometeo Incatenato di Eschilo, che associa a Epicuro: «Meglio essere il servo di questa roccia / Che essere un figlio fedele a padre Zeus»27. Questa familiare critica da gioventù hegeliana della religione rimane feuerbachiana: Marx qui teorizza l’emancipazione dalla superstizione come un’estetizzazione degli dèi. Tuttavia, in una società patrizia schiavista, ciò si traduce in una mera forma di critica aristocratica e in un’etica personale del distacco; il passaggio da tale critica contemplativa a una prassi collettiva e rivoluzionaria rimane lontana nel futuro.

Marx ha scritto la sua tesi in un momento in cui l’atomismo nella scienza moderna era ancora in gran parte solamente una ipotesi, anche se sempre più avallata da risultati sperimentali – come la decomposizione chimica dell’acqua in ossigeno e idrogeno. L’ontologia speculativa era in procinto di diventare scienza operativa. La dialettica sociale si intreccia inestricabilmente con i metabolismi della natura. Il paradossale trionfo dell’atomismo scientifico sarebbe arrivato intorno al 1900 con la scoperta che gli atomi non erano i più piccoli e indivisibili mattoni della realtà. Con la scoperta di Becquerel della radioattività dell’uranio nel 1896, divenne evidente che il tessuto della realtà materiale non era così solido come il materialismo del XVIII secolo o il positivismo del XIX secolo avevano supposto. La ricerca frenetica sulla struttura interna dell’atomo culminò nel modello planetario di Rutherford del 1911, con un piccolo nucleo attorno al quale gli elettroni girano a distanza; questo segnò la trasformazione della fisica atomica in fisica nucleare, che fu accompagnata dalla problematizzazione quantistica della distinzione fondamentale tra particelle e onde di energia: le particelle subatomiche e la luce potevano essere descritte in entrambi i modi. La scoperta del neutrone, della fissione nucleare e delle reazioni a catena negli anni ’30 pose le basi per lo sviluppo delle armi nucleari durante la Seconda guerra mondiale. Hiroshima segna la morte dell’atomismo e il trionfo del nuclearismo28.

Tuttavia, mentre l’energia nucleare, militare o civile, trasformava il pianeta negli anni ’50 e ’60, l’atomismo greco veniva rivisitato sia dalla cultura pop, sia dall’intellighenzia accademica nel tentativo di venire a patti con la nuova (ir)realtà. Come creatore di una nuova razza di divinità elastiche, Walt Disney produsse sia un tascabile per il mercato di massa (1956) che un film per la televisione (1957) intitolato Our Friend the Atom29. In questa storia teleologica, Democrito – e non Epicuro – è lodato per la sua “profetica” teoria atomica, che tuttavia fu presto persa e dimenticata30. Le vecchie remore sul presunto ateismo ed edonismo degli atomisti, e sulla informità della visione del mondo che promuovevano, sono state messe da parte. Lo staff della Disney e l’autore Heinz Haber hanno dato all’energia nucleare la forma decisamente non classica e orientalista di un genio in una bottiglia: un pescatore apre il vaso e libera il genio. Tuttavia – così recita la lezione di questa immagine dialettica – l‘uomo può far sì che il genio esegua i suoi ordini, imbrigliandone il potere31. Negli anni ’60, in tono polemico, lo scrittore e attivista tedesco Heinrich Schirmbeck sosteneva che «la nostra epoca raccoglie ciò che gli atomisti greci hanno seminato», in quanto hanno iniziato un processo di Entsinnlichung (desensibilizzazione) che si conclude con la scienza nucleare e con la scienza biologica32.

Nel suo libro del 1970, Lavoro intellettuale e lavoro manuale, Alfred Sohn-Rethel fa riferimento alla distinzione di Marx tra la forma naturale di un oggetto utile (valore d’uso) e la forma-valore della merce (valore di scambio), citando dal Capitale che «[il] valore delle merci è l’esatto contrario della grossolana materialità della loro sostanza, non un atomo di materia entra nella sua composizione»33. Sohn-Rethel sottolinea l’atomicità del denaro, ma questa non è atomicità fisica. Piuttosto, si tratta di divisibilità matematica; la «reale astrazione» che è il denaro deve essere «divisibile per lasciare le merci indivise»34. Il libro di Sohn-Rethel è un tentativo ambizioso e un po’ eccentrico di dimostrare che i concetti della filosofia kantiana e della scienza moderna derivano dallo scambio. Per Sohn-Rethel, le categorie di comprensione di Kant sono la formulazione classica dell’epistemologia moderna e possono essere usate per illuminare il pensiero filosofico e scientifico moderno. Egli nota che la forma-pensiero kantiana (Denkform) arriva sulla scena pre-strutturata, e che Kant stesso colloca questa pre-strutturazione nell’intelletto o nella mente35. In realtà, però, la forma-pensiero moderna è piuttosto pre-strutturata socialmente e storicamente, e deriva dalla forma-valore; l’astrazione del pensiero si fonda sull’astrazione reale, ma a causa della divisione tra lavoro manuale e intellettuale, filosofi e scienziati disconoscono questo legame. Proprio come lo scambio impone una forma-valore e quindi una pura equivalenza al mondo della materia e dei sensi, così il pensiero moderno fa astrazione dall’esperienza sensibile: è plasmato da concetti e principi quantificanti che sottomettono tutto ciò che è percepito, tutto ciò che è «qualitativamente sensibile»36.

Timothy Morton nota che tra Kant e l’odierna teoria antropocenica c’è un momento del 1900 in cui «la teoria dei quanti ha aperto un’enorme voragine nell’idea delle particelle come piccole palline da ping-pong» e «la teoria della relatività ha distrutto l’idea di oggetti coerenti». Tutto ciò equivaleva a una conferma della lacuna kantiana e a una prefigurazione degli iperoggetti. «Cosa avevano in comune le “scoperte”? Si cominciava a vedere l’acqua, i quanti, lo spaziotempo. Erano entità autonome che avevano tutti i tipi di proprietà strane e inaspettate»37. Nel suo stile peculiare, Sohn-Rethel nota anche la rottura con la concezione scientifica moderno-borghese della sostanza materiale come costituita da particelle minute e permanenti38. La fisica quantistica insisteva che gli eventi, e non le particelle, costituissero la “materia” della fisica, e che una particella può apparire sia come materia che come energia. Per Sohn-Rethel, questa era un’indicazione di un’imminente svolta verso il socialismo: come la scienza borghese rifletteva il regno della forma-valore sotto il capitalismo tecnocratico, così le rivoluzioni nella fisica moderna sembravano presagire una rivoluzione sociale.

Un parallelismo così crudo e diretto tra il politico-economico e lo scientifico ha la sua controparte nei parallelismi che sono spesso tracciati tra la scienza moderna e l’arte moderna. Innegabilmente, alcuni momenti della rivoluzione estetica dell’arte sono stati influenzati dalle scoperte della fisica, ma ciò ha comportato un complesso processo di traduzione, a volte sciatto e frettoloso, pieno di proiezioni e malintesi, ma che al suo interno ha prodotto l’inedito.

Fine prima parte.

L’articolo originale, in inglese, è disponibile su e-flux

Sven Lütticken insegna storia dell’arte ed estetica alla Vrije Universiteit Amsterdam, ed è autore di Secret Publicity: Essays on Contemporary ArtIdols of the Market: Modern Iconoclasm and the Fundamentalist Spectacle, History in Motion: Time in the Age of the Moving Image, e Cultural Revolution: Aesthetic Practice after Autonomy, tutti pubblicati da Sternberg Press.

Note

  1. “We sich heute auf die Wahrnehmung dessen beschränkt, was der Augenblick gerade an Sichtbarem bietet, der verfehlt die Realität.” Günther Anders, “Tagebuch aus Hiroshima und Nagasaki” (1958), in Hiroshima ist überall (München, 1982), 48. Diario di Hiroshima e Nagasaki. Un racconto, un testamento intellettuale, Ghibli, 2014.
  2. Akira Mizuta Lippit ha insistito sull’importanza cruciale di tre “fenomenologie dell’interiorità” interconnesse che furono lanciate nel 1895: la psicoanalisi, i raggi X e il cinema. Cfr. Atomic Light (Shadow Optics) (University of Minnesota Press, 2005), 5.
  3. Cfr. Susan Schuppli, “Radical Contact Prints,” in Camera Atomica, ed. John O’Brian (AGO/Black Dog Publishing, 2015), 284–87.

  4. Joseph Masco, The Nuclear Borderlands: The Manhattan Project in Post-Cold War New Mexico (Princeton University Press, 2006), 31, trad. Chaosmotics

  5. “Our Literal Speed presents Vision and Communism,” in Vision and Communism (New Press, 2011), trad. Chaosmotics
  6. La nozione è stata introdotta da Quentin Meillassoux, criticato da Graham Harman per essere rimasto schiavo del correlazionismo; Cfr. Graham Harman, The Quadruple Object (Zero Books, 2011), 136-37.

  7. Harman, The Quadruple Object, 19.
  8. G. W. F. Hegel, Vorlesungen über die Ästhetik I. Werke 13 (Suhrkamp, 1970), 151.

  9. Armen Avanessian, “The Speculative End of the Aesthetic Regime” Texte zur Kunst 93 (March 2014)
  10. Timothy Morton, Iperoggetti, trad. it. V. Santarcangelo, NERO edizioni, 2018, 15.
  11. ibidem, 1
  12. ibidem, 76
  13. ibidem, 30
  14. Déborah Danowski and Eduardo Viveiros de Castro, The Ends of the World, trans. Rodrigo Nunes (Polity, 2017), 36.
  15. Morton, Iperoggetti, 38.
  16. ibidem, 45
  17. Jaime Sempun, La Nucléarisation du monde (Éditions Gérard Lebovici, 1986), 30.
  18. Semprun, La Nucléarisation du monde, 39. trad. Chaosmotics
  19. Anonymous, “Exercitatio de formis substantialibus et de qualitatibus physicis,” quoted in Stephen Greenblatt, The Swerve: How the World Became Modern (W. W. Norton, 2011), 250.
  20. K. Marx, Differenza tra le filosofie della natura di Democrito e di Epicuro, a cura di D. Fusaro, Bompiani, 2004, Cap. 3
  21. idem
  22. ibidem, Cap. 1
  23. idem
  24. ibidem, Cap. 5
  25. ibidem, Cap. 1
  26. Idem
  27. ibidem, “Bozza di una nuova prefazione”
  28. Con Image & Logic: A Material Culture of Microphysics di Peter Galison (University of Chicago Press, 1997), si può aggiungere una terza fase oltre quelle della fisica atomica e nucleare: la fisica delle particelle del dopoguerra. Poiché mi concentro sulla tecnoscienza che deriva fondamentalmente dalla fisica nucleare degli anni ’30 e ’40, questa distinzione è qui meno rilevante.
  29. La versione televisiva di Our Friend the Atom fu trasmessa il 23 gennaio 1957 come parte della serie antologica Disneyland. Nello show, viene mostrato un libro mockup riccamente illustrato con quel titolo, che ha poca relazione con il libro vero e proprio intitolato The Walt Disney Story of Our Friend the Atom.
  30. Heinz Haber, The Walt Disney Story of Our Friend the Atom (Dell Publishing, 1956), 20–23.
  31. ibidem, 9-13
  32. Heinrich Schirmbeck, Die Formel und die Sinnlichkeit. Bausteine zu einer Poetik im Atomzeitalter (List Verlag, 1964), 61, 9.
  33. Marx, citato da Alfred Sohn-Rethel, Geistige und Körperliche Arbeit. Zur Theorie der gesellschaftlichen Synthesis (Suhrkamp, seconda edizione rivista del 1972), 47-48; versione inglese da Intellectual and Manual Labour: A Critique of Epistemology (MacMillan, 1978), 27. Il libro di Sohn-Rethel esiste in versioni piuttosto diverse in tedesco e in inglese. Io mi servo principalmente della seconda edizione tedesca (1972), usando la traduzione/rielaborazione inglese per citazioni occasionali.
  34. Sohn-Rethel, Intellectual and Manual Labour, 54. Il passaggio nella versione tedesca Geistige und Körperliche Arbeit è a 82.
  35. ibidem, 22
  36. “Diese abstrakte Natur beschreibt sich in reinen, alles Wahrgenommene, qualitative Sinnliche der Quantifuzierung unterwerfenden Begriffen und Prinzipien.” Sohn-Rethel, Geistige und körperliche Arbeit, 89.
  37. Morton, Iperoggetti, 9
  38. Sohn-Rethel, Geistige und körperliche Arbeit, 208–10.
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