Escrescenza

by / 8 Ottobre 2022

l’originale è pubblicato su Protean Mag con il titolo Outgrowth.1

La mangiatrice di uomini non è nata da un utero, ma dai teratomi dei suoi predecessori. Le unghie tagliate, i follicoli piliferi strappati e i tumori avevano le superfici cosparse di gemme dormienti e, nel momento in cui il sole aveva riscaldato il terreno e la pioggia ammorbidito la terra, le mani e la testa cominciarono a germogliare. Dopo alcuni giorni, il suo sistema di radici ha fatto presa e lei è emersa in superficie. Gli strati esterni di pelle si irrobustirono, preservando l’umidità all’interno del suo corpo e proteggendola dagli agenti patogeni che causano la putrefazione. Cresciuta abbastanza in altezza e in dimensioni, tali che le radici non furono più in grado di tenere il passo con il corpo, strappò le gambe dal terreno, spezzando le radici. Alcuni mangiatori di uomini non interrompono mai il loro rifornimento costante di minerali e di acqua, troppo deboli per rompere le radici, troppo grandi per sussistere solo attraverso l’ossigeno e la fotosintesi; alla fine si raggrinziscono, e vengono raccolti come figlie e mogli. La mangiatrice di uomini cominciò a camminare. Mentre camminava, il suo appetito aumentava. Strappò le formiche da un’albicocca marcia stesa sull’erba, leccandole dalle dita prima che potessero strisciare via. Aspre, amare, non abbastanza sostanziose per lo sforzo. Prese l’albicocca e ingoiò anche quella.

Senza la concezione del tempo, la mangiatrice di uomini usava il suo stomaco come guida. Quando quest’ultimo era nuovamente vuoto, un giorno era passato. Quando lo stomaco si sentiva pieno e lei barcollava da un piede all’altro, preferendo rannicchiarsi su un fianco con le braccia che avvolgevano le gambe, il sole era calato e lei dormiva sul terreno, ascoltando il respiro delle radici sotterranee. Quanto era stato più facile: le fibre che si aggrappavano alle particelle del suolo, le radici a fittone che si snodavano e si allungavano per trovare l’acqua – e lei doveva semplicemente assorbire ciò che le veniva inviato.

Quando la mangiatrice di uomini incontrò il suo primo umano, i capelli le erano cresciuti fino alle ginocchia e il grasso delle guance si era dissolto. Le sue membra somigliavano ai rami di un albero: spigolose e arzille, prive di foglie e di carne. Quando vide l’umano, nonostante avesse appena finito di mangiare formiche ed erbacce, il suo stomaco brontolò come se fosse stato svuotato di colpo. L’umano le offrì una bottiglia d’acqua che lei aprì e appoggiò sul fondo del labbro, toccando appena la plastica, e l’acqua le colò dagli angoli della bocca. L’umano osservava l’acqua scivolarle lungo il collo.

La mangiatrice di uomini seguì l’umano a casa sua, dove le tagliò i capelli, le cui ciocche lei seguì con lo sguardo nel loro accumularsi a terra. Gli disse di seppellirle in giardino. Sarebbero cresciute in nuovi mangiatori di uomini, la sua stessa famiglia, seminati dai suoi capelli. L’uomo le mise in un sacchetto di plastica e le gettò nel cassonetto.

L’uomo le diede da mangiare pelli di pesce fritte e lei scoprì per la prima volta il gusto del salato e dell’umami. Le mostrò come lanciare una canna da pesca in modo che il gambo del mulinello sembrasse naturale sotto le sue dita, come lasciare che il peso dell’esca tirasse la lenza dal mulinello, come scegliere l’esca: vermi, cavallette, pezzi di pesce tagliati – i pesci mangeranno i loro stessi simili? Si era chiesta. L’uomo le disse: le larve mangiano i loro fratelli più piccoli e le femmine mangiano le proprie uova, ma non è così comune come si potrebbe pensare.

L’uomo la portò a fare shopping e scelsero biancheria intima e bralette – quelle con coppe poco profonde per sembrare naturali sul petto, sosteneva lui – e mocassini che lui considerava alla moda ed eleganti. La guidò nei negozi, indicandole dei set di Lego, dei piccoli acquari di pesci combattenti, e portafogli sottili che potevano contenere due o tre carte di credito. La mangiatrice di uomini tirò la manica al suo compagno quando il suo stomaco brontolò. Mi ridurrai sul lastrico con la tua fame, disse l’uomo ridendo.

La portò a vedere una pioggia di meteoriti, anche se il fumo era troppo pesante e le luci dei grattacieli circostanti troppo luminose: un’ardesia grigia sospesa sopra le loro teste. Lei chiese torte lunari [un tipico dolce cinese, ndt] ripiene di tuorli d’uovo e disse che avrebbe tenuto il tuorlo sospeso per aria prima di strapparlo e mordere i pezzi secchi e friabili di giallo che le cospargevano la bocca e le mani, fiocchi di luna che si disintegravano – scherzava. Non divorava solo la luna, ma anche il sole – un dolce e denso boccone che le scendeva in gola e si depositava nello stomaco con i semi di loto e la pasta ma, nonostante ciò, nemmeno una massa planetaria riusciva a riempirla.

L’uomo la lasciava sola durante il giorno, quando doveva lavorare. In quei momenti, la mangiatrice di uomini innaffiava il terreno dove avrebbero dovuto essere sepolti i suoi capelli. Poi rovistava nella dispensa e nel frigorifero, mangiando bocconi di carne di porco, polpette di pesce e cubetti di sangue di maiale: mordicchiava e ingoiava, per un fugace attimo di sazietà. Rosicchiò i gambi del coriandolo, grattugiò i denti contro la buccia di una barbabietola, masticò spicchi di anguria finché non ci fu più rosso, né bianco, né scorza, né guscio. L’uomo tornava ogni volta con un carico di spesa sempre più grande, finché non diventava troppo pesante da trasportare e doveva farselo consegnare dal camion.

Nei fine settimana, a volte, la portava in spiaggia. Non era una spiaggia fatta per oziare: la sabbia era grossolana e mista a sassi; lunghe ciocche di alghe si stendevano sulla riva in ciuffi scuri che sembravano capelli; l’oceano si infrangeva sulla costa come se volesse spingere via sia le persone sia i sambuchi. Ella si accovacciava, rovistando tra le alghe con una mano e pettinandole con l’altra, raschiando con le dita fino a far cadere la maggior parte dei grani e dei sassi, poi sorseggiava il kelp e le alghe fino a ripulire l’intero litorale. Era più economico che comprare quelle confezioni di Nori2 arrosto, aveva detto l’uomo. Tossì su una sacca di sabbia che era rimasta incastrata tra gli steli e gli ammassi di spore.

A un certo punto, la mangiatrice di uomini cominciò a condividere il letto con l’uomo, in modo che l’altra camera da letto potesse contenere le scorte di cibo aggiuntive. Quando facevano l’amore, lei immaginava le sue braccia come bastoncini di pasta fritta, il suo busto come fagottini di riso appiccicoso che comprimevano arachidi arrostite e carne di maiale, le sue gambe come strisce di tagliatelle larghe tirate a mano. Gli accarezzava la schiena quando si afflosciava contro il suo petto, gli annusava il collo, aspettando che si staccasse da lei per preparare uno spuntino. Aveva iniziato a mangiare il riso crudo, perché ci voleva troppo tempo per cuocerlo e l’acqua consumava troppa capacità dello stomaco prima che potesse sentirsi sazia. Si versò una ciotola di sale. Il sale andava giù facilmente e le ricordava l’oceano, i pesci, le pelli lucide che un tempo aveva sgranocchiato dopo una vita di formiche.

Quando la mangiatrice di uomini rimase incinta, chiese se il bambino fosse nato dalle sue unghie o dai suoi capelli. L’uomo non le disse né l’uno né l’altro, ma che era un prodotto dell’amore. Si chiese se l’amore fosse commestibile.

Man mano che il suo stomaco diventava più rotondo, chiedeva più grassi, proteine, calcio e zucchero. Rompeva le uova in una ciotola e ne sbocconcellava il guscio, prima di trangugiare i piccoli tuorli arancioni racchiusi nelle membrane. Rosicchiava la corteccia del pino del cortile e ne succhiava la linfa. L’uomo portava a casa secchi di sabbia dalla spiaggia dopo che lei aveva svuotato le dispense e il frigorifero. Ella immergeva i piedi nella sabbia e vi danzava, alla ricerca di un punto in cui potessero formarsi delle radici – anche se nessuna lo fece mai. Uscì dai secchi e portò i chicchi alla bocca.

La mangiatrice di uomini diede alla luce una figlia che l’uomo amava molto. Questa non è una vera figlia, sosteneva la mangiatrice di uomini. Le vere figlie provengono dalla terra; sono quelle troppo deboli per arrivare in superficie, che rimangono annidate tra le rocce e gli organismi in decomposizione finché qualcuno non le tira fuori, con le loro forme premature e fragili. L’uomo prese in braccio la figlia e la cullò facendola dondolare dolcemente da una parte all’altra. La mangiatrice di uomini chiese altro cibo.

Capitò che la mangiatrice di uomini comprese che avrebbe avuto sempre fame. Aveva mangiato la luna, il sole e la sabbia. Aveva mangiato formiche, scarabei e mantidi religiose. Aveva mangiato fegati di maiale, cuori di mucca e cervelli di Moroseta3. Si era nutrita dei capelli, dei tumori e delle unghie di coloro che aspirava a diventare.

L’uomo la trovò che fissava la culla, guardando il bambino nello stesso modo in cui avrebbe guardato un osso cartilagineo abbastanza morbido da poterlo mordere. Prese la bambina in braccio e pregò la mangiatrice di uomini di risparmiare la figlia. Ma la mangiatrice di uomini aveva conosciuto solo la fame e disse all’uomo che non sarebbe durata ancora a lungo così. L’uomo, che aveva a cuore sia la bambina che la mangiatrice di uomini, era convinto che lei avrebbe risvegliato il suo istinto materno se solo avesse fornito una soluzione permanente alla fame, e si offrì al suo posto.

Per la mangiatrice di uomini non faceva differenza. Prese la bambina dalle sue braccia, annusò il fagotto di rughe e pelle – chiedendosi come avrebbe fatto quella creatura a sopravvivere senza un sistema di radici che la ancorasse alla terra, sostenendola con energia e acqua – e la mise nella culla. Poi afferrò le spalle dell’uomo e lo fece inginocchiare davanti a lei. Poiché i mangiatori di uomini si erano sviluppati in anni di selezione naturale e di ottimizzazione genetica evolutiva, sapeva che sarebbe stato più facile chiedergli il cuore piuttosto che masticare fino al punto in cui l’organo risiede.

  1. nel titolo originale, Outgrowth, vi è un doppio riferimento che in italiano la parola escrescenza non rende con la stessa forza. Se, infatti, il sostantivo outgrowth letteralmente può essere tradotto in tal modo, il verbo to outgrow si riferisce alla condizione di un qualcosa che supera qualcos’altro rispetto a una certa caratteristica – I felt embarassed when my little brother outgrew me (mi sono sentito in imbarazzo quando mio fratello minore mi superò in altezza). Ai fini del racconto, questo doppio riferimento è importante, ma vista l’impossibilità di mantenerlo in italiano si è optato per la traduzione letterale.
  2. tipiche alghe utilizzate nella cucina orientale, suddivise in fogli, poi importate e largamente usate nell’interpretazione occidentale del sushi. Nel Regno Unito vengono chiamate laver, e si utilizzano in alcuni piatti tipici, principalmente in Galles, ndt
  3. particolare specie di pollo originario dell’Asia, ndt
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