Qui per la prima parte
3. Nel cerchio, fuori dal cerchio
Nel 1531 viene pubblicato per la prima volta il De Occulta Philosophia, un compendio di filosofia rinascimentale, misticismo, teologia, magia e scienza a opera di Agrippa. Qui Agrippa descrive come la realtà sia principalmente suddivisa in tre differenti mondi: il primo, elementale, è rappresentato dal mondo naturale; il secondo, celestiale, si costituisce nel cosmo; il terzo, intellettuale, indica la dimensione di derivazione neoplatonica costituita dall’Uno e delle sue ipostasi, quindi da Dio e dalle tradizionali figure intermedie, come angeli e demoni. In Agrippa emerge come il mondo possieda delle qualità nascoste sotto alla propria apparenza: esso, in qualità di mondo occulto, sarebbe accessibile solo di tanto in tanto rivelandoci ciò che per noi è ignoto1.
Contrariamente a quanto avviene nel mondo-per-noi thackeriano, in Agrippa permane il sostrato di una nozione di mondo occulto in senso assoluto, un mondo sconosciuto e inconoscibile che opera un doppio nascondimento in cui l’essere umano ricopre un ruolo contingente: il mondo nascosto è il mondo che non si piega alla volontà interpretativa, «il differenziale tra il mondo-per-noi e il mondo in quanto mondo-in-sé» (Thacker 2019, 63). Secondo Thacker la nozione “nascondimento del mondo” non risulta sufficientemente chiara:
Il nascondimento del mondo non è solo il mondo-in-sé, poiché il mondo-in-sé è per sua definizione assolutamente separato da noi, in quanto esseri umani che abitano nel mondo (…). Quando il mondo-in-sé diviene occultato o «nascosto» ha luogo un (…) movimento, attraverso il quale il mondo-in-sé ci si manifesta senza perciò divenire pienamente accessibile (Thacker 2019, 63).
Il mondo-in-sé si rivela non attraverso il mondo-per-noi, ma come mondo-in-sé-per-noi, come un’entità che, nel suo rivelarsi, continua a dialogare con il punto di vista antropocentrico: in questo modo il nascondimento «rappresenta un mondo per il quale l’idea di provvidenza divina o il principio scientifico di ragion sufficiente risultano entrambi del tutto insufficienti» (Thacker 2019, 63). Se nella filosofia occulta agrippiana il mondo si nasconde in vista di un disvelamento, nella filosofia occulta contemporanea il mondo si rivela come nascondimento: nel primo caso siamo davanti a una conoscenza nascosta di un mondo manifesto, nel secondo a una conoscenza manifesta del nascondimento del mondo. In Agrippa l’esterno rimane una dimensione in ultima istanza conoscibile attraverso l’unione tra mondo elementale e mondo intellettuale: essendo la conoscenza a essere nascosta, essa può disvelarsi e portare con sé il carico di significato del mondo; nell’attuale filosofia occulta, essendo il mondo a essere nascosto, esso può emergere e venire conosciuto solo all’interno della sua sovrastruttura, ovvero in qualità di nascondimento stesso. Questa nuova filosofia risulta pertanto «antiumanista, avendo come proprio metodo il disvelamento del non-umano in quanto limite del pensiero» (Thacker 2019, 64).
Thacker, per analizzare il luogo d’intreccio tra la dimensione disvelata e la dimensione occulta, introduce il concetto di cerchio magico. J. Huizinga, in Homo Ludens – opera in cui l’autore analizza la dimensiona ludica, ponendola a fondamento di ogni cultura e organizzazione sociale –, descrive il cerchio magico come elemento che «ha inizio su un terreno di gioco tracciato in precedenza, materialmente o idealmente, deliberatamente o in quanto dato di fatto» (Thacker 2019, 66): dai palcoscenici ai campi da tennis, dalla tavola del Monopoli all’arena dei gladiatori, tutti i campi da gioco sono accomunati dall’essere luoghi circoscritti e delimitati da regole appositamente istituite per essi; il cerchio magico si presenta come una porzione di materia all’interno della quale – e mediante cui – è simulata una dimensione differente da quella di partenza, un mondo temporaneo e circoscritto interno al mondo-per-noi. Così come la soglia – l’in-mezzo, il punto liminale di intersezione e coappartenenza di interno ed esterno – ricopre un ruolo centrale all’interno delle dinamiche di weird ed eerie, allo stesso modo il cerchio magico, se sovvertito attraverso una progressiva elusione della sua circoscrizione, può capovolgere «la sua funzione tradizionale, amplificando l’indistinzione tra soprannaturale e naturale» (Thacker 2019, 86).
Un esempio di sovvertimento del cerchio magico viene rintracciato da Thacker in Dall’altrove di Lovecraft: qui il cerchio non si configura come un portale verso l’altrove, ma come un’entità in grado di disvelare la realtà in quanto tale disvelando l’altrove come un qui invisibilmente coesistente al nostro piano di realtà. Secondo Thacker, nel racconto
Piuttosto che per presupporre la divisione tra naturale e soprannaturale, impiegando il cerchio per controllare o governare il confine tra essi, il cerchio magico è utilizzato allo scopo di rivelare la già esistente non-separazione tra naturale e soprannaturale, tra il “qui e ora” e ciò che è “al di là” (Thacker 2019, 89).
Non è solo l’intenzione con il quale viene utilizzato a distinguere il cerchio magico di Dall’Altrove da quelli canonici, ma anche la sua dinamica di azione: laddove, solitamente, con la chiusura del cerchio si ha la sospensione dei suoi effetti, nel racconto di Lovecraft essi si protraggono anche dopo la sua sparizione. Il cerchio smette, pertanto, di essere un luogo sicuro da cui osservare in qualità di spettatore la commistione spazialmente circoscritta tra i mondi e inizia a estendersi senza più una circonferenza in grado di limitarlo.
Thacker, sempre in Tra le ceneri questo pianeta, ritrova un esempio simile di trasformazione del cerchio – il suo dissolversi e sovrapporsi al mondo – in Uzumaki di Junji Ito. L’imporsi sempre più pervasivo e innaturale del simbolo della spirale – che passa dall’essere percepito solo da poche persone e in elementi naturalmente spiraliformi, all’ossessionare un intero villaggio presentandosi in elementi come l’erba, le nuvole e il fango – lo rende non più solo simbolo, ma manifestazione del mondo in quanto tale. Secondo Thacker, dacché
(1) La spirale non esiste se non come manifestazione;
(2) La spirale è qualcosa che va oltre l’essere un pattern naturale;(3) La spirale è l’equivalente dell’idea stessa di spirale; (Thacker 2019, 92)
Ne consegue che, dato (1) e (3) allora il simbolo astratto e la sua manifestazione sono inseparabili: «il mondo alieno della manifestazione della spirale può spingersi fino a “infettare” il mondo ideativo della spirale in quanto idea» (Thacker 2019, 92) e propagarsi al suo interno. Al contempo, dato che (2) e (3) allora essa termina con il coincidere con il pensiero stesso. La spirale-in-quanto-pensiero è equivalente al pensiero inumano, nonché al pensiero che corrisponde al mondo-senza-di-noi. Come in Dall’Altrove l’Assoluto, il mondo nascosto in quanto essenzialmente inumano, diviene terrificante nel suo non contemplare la presenza umana come necessaria.
Ciò che caratterizza entrambi i racconti è la compresenza tra interno ed esterno: il cerchio magico diventa non strumento di contatto ma di rivelazione, un luogo magico in cui il nascondimento si rivela in modo paradossale. Se il cerchio magico presuppone un intervento umano d’innesco e controllo, il luogo magico agisce per inversione: un’intrusione non umana dell’esterno nell’interno. Il gioco di sguardi con cui Fisher caratterizzava il rapporto tra realtà, perturbante e weird – l’unheimlich che osserva dall’interno un esterno che lo contamina, il weird e l’eerie che osservano l’interno da un punto di vista esterno – viene ampliato da Thacker:
Se il cerchio magico rappresenta l’umano che si affaccia sul fuori per confrontarsi con l’anonimo e inumano mondo occulto, il luogo magico rappresenta questo stesso mondo occulto, colto nel momento in cui ci restituisce lo sguardo (Thacker 2019, 95).
Se il mondo-in-sé risulta nascosto, ciò avviene solo a causa dell’esperienza fenomenica che facciamo del mondo, ovvero un’esperienza tipicamente umana. Il soprannaturale viene così riportato nel naturale: se weird ed eerie mettono in discussione non lo statuto dell’oggetto, ma l’effettiva applicabilità dei criteri interpretativi del soggetto, ne consegue che la distinzione linguistica tra i due termini è data dalla mancata capacità umana di cogliere la realtà nella sua forma più completa. È a questo punto che Thacker chiede: «Cosa significa aver rivelato il nascondimento del mondo, senza che vi sia più alcun essere umano pronto ad accogliere tale rivelazione?» (Thacker 2019, 93). Con il presentarsi del luogo magico sorgono nuove domande:
Nell’ambiguo momento in cui il mondo-in-sé ci si manifesta, senza tuttavia trasformarsi immediatamente nell’umanocentrico mondo-per-noi, vi è forse un modo per rendere tale nascondimento intrinseco allo stesso essere umano? (Thacker 2019, 108).
Come è possibile evitare lo straniamento dovuto alla sensazione di vivere in un mondo che non è solo il mondo familiare costituito dal mondo-per-noi? Come è possibile vivere nel perturbante dato dall’eeriness del Pianeta thackeriano e dalla weirdness della crepa mortoniana? Come farlo «senza presumere immediatamente che esso sia identico al mondo-per-noi, e senza bollarlo come un (…) inaccessibile mondo in sé» (Thacker 2019, 111)? Non può esistere un essere-dalla-parte-del-mondo, o della “natura”; anzi «l’apparente prevalenza di disastri naturali e pandemie globali sembrerebbe indicare che non siamo noi a essere dalla parte del mondo, ma che è il mondo a esserci ostile» (Thacker 2019, 180). Se la carica eerie esplode a livello macroscopico nell’impensabilità di un universo infinito popolato da entità non-umane, essa è anche in grado di annidarsi negli interstizi microscopici del dualismo mente-corpo: l’indeterminatezza dell’altrove collima con l’inspiegabilità del qui.
4. Dentro la macchina ci sono dei fantasmi, e noi siamo loro, e loro sono noi.
Nella trasposizione cinematografica ad opera di Glazer di Sotto la pelle (M. Faber, 2000) la sceneggiatura è realizzata per sottrazione: l’eerie – secondo Fisher scarsamente presente nel racconto originale – è evocato dall’aggiunta di vuoti di conoscenza. L’opera di Glazer tende a spogliare «la cultura umana della sua banale familiarità, mostrando ciò che diamo per scontato da un’angolazione indeterminata eppure esteriore» (Fisher 2017, 124): i vuoti non rimangono tali, ma vengono riempiti dal proliferare dell’esterno incarnato nel corpo della protagonista. Sul piano estetico il vuoto narrativo è rappresentato dal limbo in cui finiscono le vittime prima del compiersi dell’effettiva cattura: esso, composto da uno spazio nero indeterminato spazio-temporalmente, non ci viene presentato in nessun frangente dell’opera. Si chiede Fisher: «Queste scene – glacialmente oniriche e oscuratamente psichedeliche – sono forse una rappresentazione dello stato mentale degli uomini mentre scivolano inebriati in qualche stato di morte parziale?» (Fisher 2017, 125). Lo spettatore si trova davanti a ciò che realmente è una sorta di cavità temporale in cui le vittime sono trascinate per poterne compiere l’assorbimento?
L’assenza di risposte rispecchia lo stato alieno della creatura: l’incontro con una realtà incomprensibile attraverso il ricorso agli schemi consolidati della concettualizzazione umana. Nell’opera il livello più alto di eerie viene raggiunto parallelamente al più alto grado di perturbante: il corpo che ci viene sempre presentato come umano, si rivela nella sua natura protesica. Quando l’alieno, nelle scene finali, viene aggredito e perde parte del suo rivestimento organico, si mostra nella sua natura xenomorfa come un’entità nera dalla silhouette umana non caratterizzata da alcun tratto. Quando l’alieno si specchia porta avanti un doppio processo di auto-oggettificazione2: ciò che viene a mancare è la coincidenza tra il corpo che si ha e il corpo che si è. Il corpo come veste scinde il dualismo,
«Ma questa disgiunzione tra soggetto alieno e corpo umano-oggetto porta soltanto in primo piano le strutture fantasmatiche che sottendono alla “normale” soggettività umana. L’immagine culminante della figura quasi priva di lineamenti che abbandona la sua forma umana corrisponde a una certa fantasia persistente sulla relazione del soggetto col corpo» (Fisher 2018, 127).
Quando Cartesio nella sesta meditazione delle Meditazioni metafisiche attua la suddivisione tra res cogitans e res extensa pone le fondamenta del dualismo della sostanza. Se la sostanza è ciò che esiste in modo tale da non aver bisogno che di se stesso per esistere e l’attributo ciò che si riferisce alla sostanza come sua proprietà, l’attributo essenziale sarà ciò che costituisce l’essenza della sostanza. “Pensiero” ed “estensione” risultano essere attributi essenziali poiché costituiscono, rispettivamente, l’essenza di due sostanze: res cogitans e res extensa. Pensiero ed estensione – spirito e corpo – risultano essere così due sostanze separate e ontologicamente differenti.
Ne Il Sex appeal dell’inorganico Perniola introduce il concetto di cosa che sente in parallelo alla cosa che pensa e la cosa che si muove – corrispettivi di res cogitans e res extensa – di matrice cartesiana. Dacché il sentire segna il confine tra vita e cosa, Perniola – contro ogni antropocentrismo – non agisce per sottrazione, ma per addizione: il sentire non eleva l’uomo a un altro rispetto alla cosa, ma ne fa una cosa a cui, semplicemente, si aggiunge la peculiarità del sentire. Se la cosa che pensa è la mente e la cosa che si muove il corpo, la cosa che sente si costituisce nell’unione delle due parti, poiché l’atto del sentire implica la congiunzione del corpo – il mezzo per cui si sente – e la mente – il mezzo che elabora il sentire.
Se dico che l’uomo è una cosa che sente, l’essere cosa di ciò che sente e il sentire della cosa sollecitano un riconoscimento maggiore di quanto Cartesio sia stato disposto a concedere loro: la cosa e il sentire rivendicano di essere considerati in sé e non in funzione del soggetto pensante (Perniola 2004, 10).
Cartesio pone la cosa che pensa a un livello superiore rispetto alle altre perché è l’unica capace di autoevidenza; il sentire non risulta così separabile da pensiero e volontà poiché è in questa congiunzione che si costituisce la soggettività in grado di pensarsi come pensante.
Lo sforzo teorico di Perniola è volto a dimostrare come il sentire non si confaccia «a una soggettività che dice “io”» (Perniola 2004, 10). Ammesso che, con Cartesio, solo la mente – e non il corpo – sia una cosa che pensa, l’errore permane non nell’ignoranza del corpo, ma «nell’idea stessa di una cosa che sente» (Perniola 2004, 10). Se escludiamo dalla cera ciò che non gli appartiene come colore, figura e grandezza, ciò che rimane è «qualcosa di esteso, di flessibile, di mutevole» (Descartes 1992, 29) e dal potenziale infinito. Considerare la cera, così concettualizzata, come nuda appare, secondo Perniola, forviante: in questo modo si perpetua la predominanza del conoscere sul sentire3; la cosa è veste, non nudità. Ne consegue che il corpo stesso non si configura più come macchina, ma come una veste: «così cade la differenza tra dare e prendere: e compare (…) una veste estranea che non appartiene a nessuno» (Perniola 2004, 117).
Fisher riporta come secondo Lacan l’errore di Cartesio, rilevato anche da Perniola stesso, non sia un semplice “errore filosofico”: il dualismo è connaturato alla struttura del linguaggio e «l’io che parla e l’io di cui si parla sono strutturalmente diversi» (Fisher 2019, 117). Lacan sposta il centro del discorso dal sentire al linguaggio: il suo obiettivo polemico è il fatto che il processo cartesiano si muova all’interno del linguaggio, poiché, senza di esso, non potrebbe essere portato a termine. Se, con Lacan, il linguaggio non è innato ma proviene dall’Altro, il soggetto si presenta sul piano estraneo dell’Altro, dovendo il proprio sapere di sé al linguaggio: il linguaggio si dimostra il piano costituente della realtà dell’uomo. L’io che parla agisce per sottrazione – non ha predicati positivi – è il parlante-in-quanto-tale – mentre l’io di cui si parla è il soggetto esclusivo delle contingenze fisiche. L’alieno di Under the skin – nella sua neutralità somatica – appare come la reificazione dell’io che parla: privo di predicati positivi è incorporato nella veste umana, la abita e la muove. L’eeriness, secondo Fisher, è per questo «intrinseco alle nostre instabili descrizioni di soggetto e oggetto, di mente e corpo» (Fisher 2019, 117).
Nel momento in cui il corpo viene determinato come substrato fondamentale dell’esperienza diviene necessario accettare il dualismo fenomenologico cosicché l’esperienza e il suo substrato possano essere distinti: quando Fisher scrive che «dentro la macchina ci sono dei fantasmi, e noi siamo loro, e loro sono noi» (Fisher 2019, 117) si riferisce al dualismo inevitabilmente generato dalla soggettività. La contraddizione interna è data dalla convivenza tra la consapevolezza dell’impossibile sopravvivenza della oggettività alla morte del corpo e l’incapacità di sperimentarsi come nuda materia. L’eerieness è data dall’ostinata incomprensione che l’uomo ha di sé e del proprio corpo, del vuoto lasciato dalla ragione nell’istituzione di un piano concettuale che definisca il rapporto tra interno ed esterno. Così l’eerie viene evocato dal solo placido affacciarsi dell’esterno, dalla sua calma inazione, dalle sole domande senza risposta che esso instilla, da dei pieni talmente sovraccarichi di senso da apparire come dei vuoti.
Tommaso Garavaglia è editor-in-chief di Chaosmotics. Laureato in Scienze filosofiche, i suoi interessi di ricerca ruotano attorno al rapporto teoretico-estetico tra soggetto e tecnica, l’agency delle immagini e la riconfigurazione di weird, eerie e perturbante nel mondo contemporaneo.
Bibliografia
D. Danowski & E. Viveiros de Castro, Esiste un mondo a venire? Saggio sulle paure della fine, tr. it. Lucera & A. Palmieri, Nottetempo, Milano, 2014.
R. Descartes, Meditazioni metafisiche (1641), tr. it. A. Tilgher, in Opere filosofiche, vol. 2, Laterza, Roma-Bari, 1992
M. Fisher, The Weird and the Eerie. Lo strano e l’inquietante nel mondo contemporaneo (2017), tr. it. V. Perna, Minimum fax, Roma, 2018.
T. Ligotti, La cospirazione contro la razza umana (2010), tr. it. L. Fusari, Il saggiatore, Milano, 2016.
M. Perniola, Il sex appeal dell’inorganico (1994), Einaudi, Torino, 2004.
H. Plessner, I gradi dell’organico e l’uomo (1928), Tr. It. V. Rasini, Bollati Boringhieri, Torino, 2006.
E. Thacker, Tra le ceneri di questo pianeta (2011), tr. it. C. Kulesko, Nero, Roma, 2019.
E. Thacker, Cosmic pessimism, Univocal pub llc, Minneapolis, 2015.
E. Thacker, Networks, Swarms, Multitudes, Arthur and Marilouise Kroker Editors, 5/18/2004, www.ctheory.net/articles.aspx?id=423.
Note
- Agrippa fa riferimento ai fenomeni le cui cause rimangono nascoste all’intelletto umano: elementi che esistendo rendono l’apparato concettuale usato per interpretarli in qualche modo inefficace.
- Il primo livello di reificazione del corpo è quello del comune guardarsi allo specchio: è tipico dell’uomo percepirsi al contempo come avente ed essente un corpo (Plessner, 1928). Lo specchio, la contemplazione della propria immagine, porta il corpo che si è ad ammirare il corpo che si ha.
- In questo modo si interpreta come un pregiudiziale l’esterno, «pretendendo di trovare la nuda verità sotto le apparenze menzognere».