Nell’iperoggetto in cui dunque siamo (I)

Parte prima

by / 17 Novembre 2020

1. L’incedere dell’esterno

Forse il ritardo con cui sono approdato all’idea di weird e eerie è dipeso dal fascino proiettato dal concetto freudiano di unheimlich.

Mark Fisher[1]

Il concetto di unheimlich, per come elaborato da Freud a partire dagli studi psicologici di Jentsch, si definisce nei bordi sfumati della relazione tra familiare e non-familiare. Se in Jentsch il perturbante nasce dall’inquietante comparsa di elementi non-familiari all’interno del già conosciuto, in Freud esso diviene «quella sorta di spaventoso che risale a quanto ci è noto da lungo tempo, a ciò che ci è familiare»[2]. Secondo Fisher il weird, similmente, apporta al familiare qualcosa che «normalmente si trova al di fuori di esso, e che non si riconcilia con il casalingo»[3] attraverso «la combinazione di due o più elementi che non appartengono allo stesso luogo»[4]. Se l’unheimlich freudiano nasce dal muto insediarsi dell’esterno nel familiare – in un movimento che osserva dall’interno un esterno che lo contamina – il weird segnala un movimento inverso che introduce la possibilità di osservare l’interno da un punto di vista esterno. Anna Greenspan, ex-componente della CCRU, ci aiuta a definire cosa sia l’esterno che Fisher indica solamente come compresente all’esperienza umana del reale:

Nel linguaggio colloquiale i termini dentro e fuori sono utilizzati per delimitare semplici relazioni spaziali. I confini che li separano sono fisici (…). Nel linguaggio filosofico, tuttavia, i termini dentro e fuori designano una relazione più impermeabile. (…) l’interiorità, come concetto filosofico, indica una segregazione assoluta[5].

Se nella dimensione spaziale il bordo tra interno ed esterno non è mai completamente inaccessibile – «i muri possono sempre essere scavalcati, le porte aperte, i cancelli sbloccati»[6]– esso, se tradotto nei termini di soglia ontologica, si presenta come impenetrabile nella sua indefinitezza. In questo modo l’interno non agisce attraverso dei confini fisici, ma mediante un confine impercettibile che definisce ciò che può essere concepito. Come deduce Matt Colquhoun, l’esterno fisheriano è definibile come «[U]n modo di esteriorità radicale – filosoficamente inteso come ciò che è fondamentalmente al di là della portata della percezione umana, dell’esperienza e dell’intuizione»[7]. Il weird risulta essere pertanto un genere di perturbazione che segnala un generale senso di non-correttezza: «un’entità o un oggetto weird è talmente inusuale da generare la sensazione che non dovrebbe esistere, o perlomeno non dovrebbe essere qui»[8].

La dinamica innescata dal weird è pertanto caratterizzata non solo dall’incontro con un’entità non-conosciuta, ma anche dalla conseguente presa di coscienza dell’obsolescenza dei nostri sistemi di riferimento. Dacché l’oggetto – essendo qui e ora – non può essere messo in dubbio, l’unica spiegazione che può essere fornita deve implicare l’inconsitenza dei nostri metodi concettuali e interpretativi: «la cosa weird non è sbagliata, dopotutto: dovranno per forza essere inadeguate le nostre concezioni»[9]. Il weird, dunque, risulta essere correlato non tanto al soprannaturale, quanto più al non-codificato. Vampiri, lupi mannari e non morti, sono tutti elementi facilmente riconoscibili e con una ricca tradizione alle spalle: sono stati pensati, narrati e tramandati all’interno di una cultura, mescolando elementi conosciuti del mondo naturale; sono stati posti al di là del naturale semplicemente invertendo di segno elementi non altri ma interni al mondo conosciuto. Per questo motivo, secondo Fisher, un buco nero possiede una carica weird molto più alta di queste entità: le modalità con cui esso agisce attraverso spazio e tempo sono inconcepibili attraverso l’esperienza comune; dacché quel corpo celeste imploso effettivamente esiste, a necessitare un ripensamento dovranno essere la nostra concezione delle leggi spazio-temporali e i limiti della nostra conoscenza dell’universo.

2. Sovrapposizioni

Di che materia poteva essere fatta quella cosa? L’ho vista e l’ho toccata, e tutte quelle creature lasciano delle impronte. Era sicuramente fatta di materia, ma di che specie? La sua forma non può essere descritta. Era un grosso granchio, con un mucchio di anelli carnosi che formavano una piramide, con nodi di una sostanza fibrosa coperti di tentacoli, lì dove un uomo avrebbe la testa. Quella sostanza verde e viscosa è il suo sangue o il suo fluido vitale.

Se affermo che la mia immaginazione, alquanto esuberante, produsse le visioni simultanee di una piovra, di un drago e di una caricatura umana, non sarò infedele allo spirito della cosa. Una testa flaccida da polipo, con tentacoli, sormontava un corpo grottesco e squamoso, munito di ali rudimentali; ma era il profilo generale del tutto che lo rendeva sconvolgente e spaventoso in massimo grado. Alle spalle della figura si intuiva vagamente uno sfondo architettonico di dimensioni ciclopiche.

La Cosa è indescrivibile: non esiste una lingua per simili abissi di follia urlante e antichissima, per simili contraddizioni soprannaturali della materia, della forza e dell’ordine cosmico.

Estratti da H. P. Lovecraft, Il richiamo di Chtulhu.

Uno dei principali territori di analisi delle dinamiche weird è individuato da Fisher nella sterminata produzione narrativa di H. P. Lovecraft. Come scrive M. Colquhoun, l’interpretazione lovecraftiana del weird si discosta da quella portata avanti dalla letteratura horror del ventesimo secolo da autori come M.R. James: se in quest’ultima l’esterno era sempre codificato sotto forma di entità ostile da cui rifuggire, in Lovecraft non si ha esclusivamente l’orrore, ma una fascinazione sinistra che sospinge i personaggi verso la re-definizione del limite. In Lovecraft l’esterno si presenta come cristallizzato in un’entità anomala non interpretabile e non rappresentabile; nonostante la descrizione minuziosa della composizione chimerica delle creature, il lettore non è mai posto nelle condizioni di poterla visualizzare nella sua paradossale interezza: «dopo la dichiarazione di (1) indescrivibilità, e la (2) descrizione, ecco sopraggiungere (3) l’invisualizzabilità»[10]. La sovrabbondanza di dettagli fornita dall’autore impedisce la costruzione di una figura mentale che possa condensarli in sé; la capacità immaginativa del fruitore viene minata attraverso un bombardamento schizofrenico di tratti incoerenti e figure che oltrepassano il regno del possibile.

Tra le pagine di Mille piani, più precisamente all’interno dei Ricordi di uno stregone, Deleuze e Guattari offrono una sintesi dell’outsideness lovecraftiana come segue: «L’anomalo non è né individuo né specie, porta solo affetti e non implica né sentimenti familiari o soggettivi né caratteri specifici e significativi»[11]. L’outsider di Lovecraft, secondo i due francesi, è una Cosa che eccede il bordo «brulicante, ribollente, agitato, schiumante»[12]: è l’anomalo, un fenomeno dei bordi che sfugge alle classificazioni umane. Esso non si limita alla propria non-forma ma contamina anche gli schemi interpretativi del reale: le geometrie descritte da Lovecraft sono spesso non euclidee e «disgustosamente rievocative di sfere e dimensioni diverse dalle nostre»[13]. Lo stesso Lovecraft ammetteva come tutti i propri racconti si fondassero «sulla premessa fondamentale che leggi, interessi ed emozioni umani comuni non abbiano alcuna validità e significato nell’universo»[14]. Per porre al centro l’esterno è necessario far sì che gli elementi fondanti della razza umana come la vita organica, il bene e il male, l’amore e l’odio, siano considerati come semplici contingenze. Non è l’interno ad affacciarsi verso l’esterno, ma l’esterno ad irrompere nell’interno: questa integrazione, definita da Fisher come catastrofica, conduce a un cortocircuito dell’impianto ontologico del reale, da cui consegue la deflagrazione dell’inconsistente illusorietà dell’interno. Ciò che è essenziale al concetto di weird è la duplicità della sua dinamica di apparizione; attrazione e repulsione coesistono, da una parte come terrore per l’ignoto, dall’altra come volontà di disvelamento: una (ir)realtà che emerge intermittente negli interstizi del reale, spingendoci a metterlo in discussione.

3. Nell’iperoggetto in cui dunque siamo

Non solo l’accesso agli iperoggetti avviene a distanza, ma diventa ogni giorno più chiaro che quello di «distanza» è solo un costrutto mentale e ideologico che mi protegge dall’eccessiva vicinanza alle cose. (…) Il problema non è che le cose siano lontane, ma piuttosto che sono davanti a noi – sono le nostre facce. 

Timothy Morton[15]

I buchi neri, con la weirdness ad essi immanente, rientrano a far parte di quella particolare categoria di oggetti definita da Timothy Morton iperoggetti: l’iperoggetto può «essere un buco nero, (…) la biosfera o il sistema solare, (…) la somma complessiva di tutto il materiale nucleare presente sulla Terra, (…), il prodotto stesso, incredibilmente longevo, della produzione umana»[16]. Per quanto tre anni più tardi vi abbia dedicato un’opera omonima, il concetto di di iperoggetto viene introdotto da Morton in The Ecological Thought; qui esso viene descritto come una configurazione materiale viene rilevata come «l’inversione demoniaca delle sostanze sacre della religione»[17] costituita da «materiali che vanno dall’umile polistirolo al terrificante plutonio»[18] che «sopravvivranno di gran lunga alle attuali forme sociali e biologiche»[19]. Le proprietà che Morton attribuisce agli iperoggetti – viscosità, non-località, phasing, temporalità e interoggettività – li configurano come entità weird capaci di portarci «a riconsiderare le idee fondamentali che ci siamo fatti su cosa significhi esistere»[20]

L’iperoggetto, lovecraftianamente impensabile, è al tempo stesso causa di ripensamento: impensabile nella sua interezza, conduce a un ripensamento degli strumenti interpretativi che svela come inadeguati. E. Husserl descrive come l’aspetto di un oggetto – quello che definisce il suo adombramento prospettico – si dia sempre come una manifestazione unilaterale: una cosa, un qualsiasi oggetto, non può essere contemporaneamente esperito nella totalità delle proprietà che lo costituiscono in quanto cosa sensibile. Per quanto si faccia ruotare una moneta, non sarà mai possibile vederne il lato nascosto in quanto lato nascosto: la moneta ha un lato nascosto «che sembrava a tutta prima irriducibile»[21]. Secondo Morton tutti gli oggetti, allo stesso modo, si ritraggono irriducibilmente.

Il divario tra fenomeno e cosa di matrice kantiana può essere funzionale a esemplificare il modo in cui entriamo in contatto con gli iperoggetti: se secondo Kant «puoi sentire delle gocce di pioggia sulla tua testa, ma non puoi percepire le gocce di pioggia in sé»[22] –ciò che viene percepito come pioggia non è dunque che la versione antropomorfizzata dell’entità-pioggia – allora la medesima frattura si porrà tra la condizione climatica e il clima globale nella sua interezza. Se non c’è coincidenza tra cosa e fenomeno, secondo Morton, l’intuizione kantiana va estesa oltre il divario tra essere umano e mondo: la cosa è la frattura stessa che si pone tra ciò che essa è e il modo in cui appare, indipendentemente da chi o cosa sia l’entità percipiente.

Graham Harman, tra i fondatori dell’OOO (Object-Oriented Ontology), descrive la contraddittorietà insita nella concettualizzazione che l’essere umano fa di sé: da un lato il pensiero scientista naturalizza la coscienza come un’entità tra le altre, mentre dall’altro le conferisce un tipo di relazione privilegiata con il mondo, differente da quella che potrebbe instaurarsi tra un animale ed esso. La capacità di negare e trascendere l’esperienza immediata attribuita al pensiero è qualcosa che viene negato alla materia inanimata: ammettendo da una parte l’inesistenza dell’essere umano come differenza, lo scientismo «colloca la struttura del pensiero umano al vertice della costruzione ontologica»[23]. Morton riporta come l’esito di questa doppia negazione sia simile a quello del pull focus hitchcockiano: pur rimanendo fermi nello stesso luogo, il luogo si comporta come se fossimo in movimento, distorcendo la nostra percezione della realtà. Le proposte teoriche dell’OOO e gli iperoggetti sono le cause di ciò che Morton definisce un esseremoto, ovvero il sommovimento della struttura ontologica del mondo.

Il terreno su cui l’essere riposa è stato scosso dalle fondamenta. Mentre tranquilli ci aggiravamo nell’epoca della rivoluzione industriale (…) ecco che all’improvviso abbiamo ricevuto informazioni dagli alieni[24].

Gli alieni sono qui da intendere come il non-conosciuto e il non-codificato: l’esterno che si affaccia incompiutamente sull’interno, lasciando sprazzi osservabili e avvolgenti. Poiché è possibile osservare solo alcune parti di un iperoggetto in un dato momento, questi frammenti agiscono per metonimia – le gocce di pioggia, tradotte in precipitazioni annuali, divengono ad esempio quantità misurabili e definitorie del riscaldamento globale. Tutte le decisioni che prendiamo – sostiene Morton – sono prese in relazione agli iperoggetti: quando accendiamo l’automobile agiamo sul riscaldamento globale; il fatto stesso di girare le chiavi nel quadro è «intimamente connesso a tutta una serie di decisioni (…) riconducibili alla matematizzazione della conoscenza»[25], soprattutto a quella del tempo e dello spazio. Ma in che modo gli iperoggetti pervadono ogni campo decisionale? L’invasione degli iperoggetti può essere considerata a tutti gli effetti un’irruzione weird?

Qui per la seconda parte.

Image credit: A. Chantelauze / S. Staffi / L. Bret / Pierre Auger Observatory.

Tommaso Garavaglia è editor-in-chief di Chaosmotics. Laureato in Scienze filosofiche, i suoi interessi di ricerca ruotano attorno al rapporto teoretico-estetico tra soggetto e tecnica, l’agency delle immagini e la riconfigurazione di weird, eerie e perturbante nel mondo contemporaneo. 

Copertina: A. Chantelauze, S. Staffi, L. Bret


[1]  M. Fisher, The Weird and the Eerie. Lo strano e l’inquietante nel mondo contemporaneo (2017), tr. it. V. Perna, Minimum fax, Roma, 2018, p. 8.

[2]S. Freud, “Il perturbante” (1919), in Saggi sull’arte, la letteratura e il linguaggio, tr. it. S. Daniele, Bollati Boringhieri, Torino, 1991, p. 270.

[3]M. Fisher, The Weird and the Eerie. Lo strano e l’inquietante nel mondo contemporaneo, cit.,  p. 10.

[4]Ibidem.

[5][“In colloquial language the terms inside and outside are used to demarcate simple spatial relations. The boundaries between them are physical (…). In philosophical language, however, the terms inside and outside designate a relation that is altogether more impermeable .(…) interiority, as a philosophical concept, indicates an absolute segregation”] A. Greenspan, Capitalism’s Trascendental Time Machine, PhD Thesis at University of Warwick, 2000. Consultabile a: http://wrap.warwick.ac.uk/4520 (traduzione mia).

[6][“walls can always be scaleddoors opened, and gates unlocked”] Ibidem. (traduzione mia)

[7][“a mode of radical exteriority – philosphically understood as that which is fundamentally beyond the scope of human perception, experience and intuition.”] M. Colquhoun, Egress: on mourning, melancholy and Mark Fisher, Repeater, London, 2020, p. 9 (traduzione mia).

[8]M. Fisher, The Weird and the Eerie. Lo strano e l’inquietante nel mondo contemporaneo, cit.,  p. 17.

[9]Ibidem.

[10]Ivi, p. 27.

[11]G. Deleuze & F. Guattari, Mille piani(1980), tr. it. G. Passerone, Cooper & Castelvecchi, Roma, 2003, p. 349.

[12]Ibidem.

[13]M. Fisher, The Weird and the Eerie. Lo strano e l’inquietante nel mondo contemporaneo, cit.,  p. 26.

[14]Qui Fisher cita direttamente le parole di Lovecraft in riferimento a una lettera inviata dall’autore alla rivista Weird Tales nel 1927. (M. Fisher, The Weird and the Eerie. Lo strano e l’inquietante nel mondo contemporaneo, cit. p. 18

[15]T. Morton, Iperoggetti (2013), tr. it. V. Santarcangelo, Nero Editions, Roma, 2018, p. 43.

[16]Ivi, p. 11

[17][“the demonic inversion of the sacred substances of religion”] T. Morton, The Ecological Thought, Harvard University Press, Harvard, 2010, p. 135 (traduzione mia).

[18][“materials from humble Styrofoam to terrifying plutonius”] Ivi, p. 130 (traduzione mia).

[19][“will far outlast current social and biological forms”] Ibidem (traduzione mia). 

[20]T. Morton, Iperoggetti, cit., p. 28.

[21]Ivi,p. 23. 

[22]Ivi. p. 24.

[23]G. Harman, Critical Animal with a Fun Little Post, in «Object-Oriented Philosophy», 17 Ottobre, 2011.

[24]T. Morton, Iperoggetti, cit., p. 23.

[25]Ivi. p. 34.


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